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Invasioni biologiche, disastri naturali silenziosi

Le perdite economiche legate alla proliferazione di specie invasive aliene sono addirittura superiori a quelle provocate dalle calamità naturali. Un fenomeno che negli ultimi 40 anni ha registrato un aumento del 702%, dovuto a globalizzazione e degrado della biosfera

Tra le conseguenze dell’intervento umano sui fragili equilibri degli ecosistemi le invasioni biologiche sono tra le meno conosciute, ma tra le più nefaste, capaci di produrre una mole di danni economici anche superiore a buona parte dei grandi disastri naturali. A dimostrarlo è uno studio accademico internazionale, supportato dall’Axa Research Fund Chair of Invasion Biology dell’Università di Parigi Saclay che mostra come l’invasione di specie aliene abbiano causato, in un intervallo dal 1980 al 2019, perdite economiche (1.208 miliardi di dollari), superiori persino a terremoti (1.139 miliardi), inondazioni (1.120 miliardi) e molte altre calamità naturali. Secondo il Noaa, National center for Oceanic and Atmospheric Administration, che ha analizzato i dati raccolti negli Stati Uniti d’America, le invasioni di specie alloctone hanno causato perdite maggiori (467,5 miliardi di dollari) rispetto a siccità (247,7 miliardi), inondazioni (143,5 miliardi), incendi boschivi (83,9 miliardi) e gelate (28,3 miliardi). Bisogna anche tenere conto che la crescita dei costi dei danni biologici negli Stati Uniti nell’ultimo quarantennio è stata più del doppio rispetto a quella degli eventi naturali estremi, seconda solo a tempeste e tornadi. È proprio l’aumento dell’intensità con cui questo fenomeno colpisce il dato più allarmante: tra il 1980 e il 2019 le perdite legate a fattori biologici invasivi sono aumentate e hanno toccato la cifra record di 1.208 miliardi di dollari a livello globale, con un aumento in questo lasso di tempo del 702%. Numeri che fanno riflettere, soprattutto se si tiene conto che gli interventi a livello di governance rimangono marginali e che, come sottolineato nello studio di Legambiente, Biodiversità a rischio, il numero di specie invasive continua a crescere senza soluzione di continuità in tutti i gruppi tassonomici, in tutti gli ambienti e in tutte le regioni del mondo, sospinto dall’intensificazione dei rapporti commerciali internazionali, dovuti alla globalizzazione, che connettono specie di zone della Terra che altrimenti mai sarebbero venute a contatto.


Complici anche i cambiamenti climatici in atto, le specie aliene invasive sono, insieme al consumo di suolo, la principale minaccia alla biodiversità


 

La piaga nascosta


Le specie aliene invasive sono organismi che si trovano al di fuori del loro habitat naturale a causa delle attività umane. La loro introduzione può avvenire in diversi modi: può essere intenzionale per scopi venatori o di pesca sportiva, accidentale attraverso il trasporto di merci, oppure secondaria, ovvero la dinamica in cui una specie viene introdotta in un territorio e successivamente si diffonde in altre regioni per dispersione naturale. Non tutti gli organismi riescono a stabilirsi in ambienti nuovi, quelli invasivi però riescono ad adattarsi e a proliferare velocemente non avendo antagonisti naturali. Queste specie spesso causano gravi danni perché competono con le specie native per le risorse, alterano l’habitat portando alla perdita di interi ecosistemi e di equilibri naturali, causando danni miliardari. Gli impatti delle singole specie invasive spesso si accumulano gradualmente nel tempo, diventando enormi. È importante sottolineare anche che le invasioni biologiche possono interagire con molteplici pericoli naturali esacerbandone gli impatti. Possono aggravare i rischi di inondazioni, incendi e siccità, modificando la struttura e la funzione degli ecosistemi, ad esempio favorendo la proliferazione di specie che danneggiano gli argini fluviali (come i roditori alloctoni), intensificando i regimi di incendio (piante legnose) o soffocando i corsi d’acqua (piante acquatiche aliene). L’altra faccia della medaglia è rappresentata dai rischi associati al cambiamento climatico, ad esempio incendi, siccità, inondazioni, che possono favorire invasioni biologiche alterando gli equilibri naturali e creando così nicchie ecologiche vuote che sono prontamente riempite da specie intrusive. L’introduzione di questi organismi è una delle principali cause di perdita di biodiversità e provoca gravi impatti sociali, sanitari ed economici, stimati in oltre 12 miliardi di euro ogni anno nella sola Unione Europea (fonte Ispra). Un fenomeno potenzialmente in crescita: il numero di specie aliene è salito negli ultimi 30 anni del 76% in Europa, del 95% nel nostro Paese. Complici anche i cambiamenti climatici in atto, le specie aliene invasive sono, insieme al consumo di suolo, la principale minaccia alla biodiversità.







Un fenomeno da non sottovalutare


Dalle ricerche precedentemente citate emerge che i danni causati dalle invasioni biologiche e quelli delle calamità naturali sono di entità enorme; per quanto riguarda le prime però l’impatto potrebbe essere notevolmente ridotto attraverso un comportamento umano più responsabile e importanti misure di prevenzione. Una risposta unitaria, non frammentata ma globale, basata su un maggiore coordinamento politico sembra l’unica soluzione efficace. Per quanto riguarda i fenomeni naturali estremi, esistono investimenti e iniziative mirate alla riduzione della vulnerabilità, infrastrutture che permettano una risposta rapida e un’attenta valutazione del rischio. Gli impatti da invasione di specie aliene spesso sono irreversibili e molto costosi, ma purtroppo non hanno altrettanto peso nelle agende politiche e nelle scelte dei decision maker globali: non è ancora presente un’adeguata sensibilità politica nonostante gli sconvolgimenti di interi ecosistemi siano, anche da un punto di vista economico, molto impattanti per i governi.


I RISCHI PER LA SALUTE DELL’UOMO
L’intensificazione delle attività umane porta alla diffusione di nuovi organismi patogeni come batteri, virus, funghi e protozoi, che possono decimare le popolazioni selvatiche e colpire anche l’uomo, attraverso il cosiddetto spillover, ovvero il salto di specie che alcuni microrganismi riescono a fare, mutando e creando nuove varianti, potenzialmente letali, come Hiv e Sars-CoV-2. Ad esempio, l’uso di fertilizzanti e le acque urbane non trattate possono favorire la crescita di virus e batteri nel suolo, mentre, in aree disturbate come quelle suburbane, possono proliferare specie di mammiferi resistenti ai parassiti, che diventano vettori di malattie dannose anche per l’uomo (come nel caso dei topi dai piedi bianchi, ospiti principali della malattia di Lyme). La frammentazione degli habitat limita la mobilità degli animali, aumentando la densità locale, indebolisce le loro difese immunitarie e facilita la trasmissione di patologie come influenza aviaria o rabbia. Le specie domestiche, inoltre, diventano dei vettori di connessione tra ecosistemi, agevolando la trasmissione dei patogeni e la loro diffusione ad altre specie attraverso processi di zoonosi. Elevati livelli di biodiversità sono invece la chiave per regolare l’incidenza delle malattie poiché le popolazioni ospiti di patogeni vengono tenute sotto controllo dai naturali processi di predazione e competizione.