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La demografia per capire un mondo che cambia

Otto miliardi di persone alle prese con la crisi climatica, disuguaglianze, flussi migratori e guerre. In questa cornice Neodemos, in collaborazione con Limes, pubblica il quinto e-book di Geodemografia, che nella sua versione 2022 analizza attraverso cinque macrotematiche le evoluzioni che sta subendo la popolazione e quali saranno i cambiamenti e i rischi che caratterizzeranno il futuro

Demografia e geopolitica vanno a braccetto nell’e-book Geodemografia nato dalla sinergia tra Neodemos e Limes. I contenuti affrontati ripercorrono temi globali e di portata internazionale, come sovrappopolamento e bassa natalità, migrazioni, crisi climatiche ed energetiche, disuguaglianze sociali e guerra in Ucraina. Nel 2022 la demografia del mondo è stata tutt’altro che quieta, con fatti ed eventi che ne confermano la stretta relazione con la politica internazionale. Il mondo si avvia a raggiungere i 10 miliardi di abitanti entro fine secolo, facendo suonare l’allarme della sovrappopolazione. La pandemia, non ancora conclusa, ufficialmente ha portato con sé 7,3 milioni di vittime nel triennio appena concluso, anche se, come si apprende da fonti autorevoli, questi dati appaiono fortemente sottostimati. La pandemia non ha cambiato solo l’aspetto demografico delle nazioni, ma ha impattato anche notevolmente sul modo di vivere e di spostarsi delle persone. L’origine antropica del surriscaldamento globale è stata ribadita nuovamente dall’ autorevole l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che ha anche confermato la stretta correlazione tra demografia e cambio climatico, a livello mondiale, regionale e locale. La migrazione rimane un dossier aperto sulle scrivanie di tutti i più grandi paesi del mondo, anche se attualmente poche personalità del mondo politico internazionale non hanno intenzione di affrontare con più incisività la questione. I flussi di migranti economici oltretutto potrebbero mutare notevolmente a causa dei migranti climatici, persone costrette ad abbandonare le loro case perché l'ambiente dove vivevano è diventato troppo ostile. Viene affrontata poi la questione della guerra in Ucraina, che ha generato un’onda d’urto di milioni di profughi che la solidarietà politica e sociale del continente è riuscita momentaneamente ad attutire. Infine il 2023 sarà un anno memorabile dal punto di vista demografico per due eventi, in relazione tre loro: in primis la Cina per la prima volta nella sua storia moderna non vedrà la sua popolazione crescere, e in secondo luogo proprio il dragone, quest’anno, verrà superato per numero di abitanti dall’India.


Il trend demografico a livello mondiale


La popolazione mondiale crescerà. Meno velocemente di quanto pronosticato dai precedenti modelli, ma crescerà. A livello mondiale, nella nuova edizione della proiezione 2022 le Nazioni Unite, emerge che il pianeta, da oggi al 2100, accumulerà altri 2,3 miliardi di persone, più di mezzo miliardo in meno rispetto a quanto pronosticato nell’edizione del 2019. Non sono mutati i rallentamenti della fecondità in Asia e Europa, ma si registra un rallentamento in America Settentrionale e Meridionale, e soprattutto in Africa, che potrebbe vedere poco prima di fine secolo il suo tasso di crescita invertirsi. Nonostante la velocità di crescita si sia dimezzata rispetto ai livelli di mezzo secolo fa, scendendo per la prima volta sotto l’1% nel 2020, la popolazione mondiale sfonderà soglia 10 miliardi di abitanti entro il 2100. Passeranno molti decenni ancora dunque, prima di vedere i flussi migratori decrescere di importanza, essendo, a oggi e ancora per molto tempo, le zone più povere del pianeta quelle col più alto tasso di fecondità. Nonostante l’aumento della popolazione la pandemia, che ha rappresentato solo una parentesi nell’arresto della crescita della popolazione, ha d’altro canto dato il via a una serie di restrizioni dei movimenti, che sono state poi prolungate da molti stati per arginare i fenomeni migratori, anche con la sempre più diffusa pratica di erigere muri e barriere fisiche ai propri confini, un trend in aumento in ogni parte del mondo, Unione Europea compresa.


Migrazione climatica, un fenomeno in ascesa


Al più comune fenomeno dei migranti economici, dei richiedenti asilo e dei rifugiati si aggiunge quello dei migranti climatici. Uno studio del 2020 dell’Institute for Economics and Peace (IEP), un Think Tank internazionale, ha sottolineato che entro il 2050 centinaia di milioni di persone si troveranno a vivere in aree afflitte da molteplici rischi ecologici (tra cui inondazioni, siccità, eventi estremi e carestie) con la conseguenza di un aumento del numero di migranti internazionali che potrebbero arrivare alla cifra di 1-1,2 miliardi di persone. Si tratta di un numero impressionante, pari a circa quattro volte il numero di migranti internazionali conteggiato attualmente. Non si sa come queste nuove rotte migratorie possano incidere nel futuro, quello che è certo che i nuovi e continui sconvolgimenti geopolitici, come la guerra in Ucraina e la crisi energetica, portano i governi mondiali a non concentrarsi sulla transizione ecologica, l’unica vera medicina per arginare le conseguenze del surriscaldamento globale.

Ucraina oggi e domani


Un altro grande tasto toccato dalla ricerca demografica è quello riguardante il fatto geopolitico che ha sconvolto la contemporaneità. Come potrà evolvere la popolazione di un paese in guerra? E quali conseguenze avrà nelle politiche migratorie europee il grande numero di sfollati derivanti dal conflitto? L’Ucraina a oggi registra un numero di abitanti calato di quasi un terzo dal 1991, da circa 52 milioni di persone agli attuali 35 milioni. Un calo netto dovuto ovviamente al massiccio numero di persone fuggite dal paese dall’inizio dell’invasione russa. Questo scenario però si instilla in un quadro demografico già fragilissimo, dovuto a una costante emigrazione negli anni passati e a un continuo calo delle nascite già presente da inizio millennio. Un quadro molto negativo che, unito alle probabili amputazioni territoriali di Crimea e Donbass, potrebbe portare a una riduzione della popolazione a 26 milioni tra un decennio, per via delle morti della guerra, dell’emigrazione dei giovani e del conseguente invecchiamento della popolazione.

Nuovi scenari demografici e migratori 


L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sta determinando, come ampiamente previsto, un alto numero di profughi diretto verso i paesi confinanti. Un flusso imponente che si inserisce in un sistema di relazioni migratorie con l’Unione Europea che in questi ultimi anni si è rafforzato e consolidato. In particolare i paesi ex sovietici hanno mostrato un’apertura maggiore nei confronti dell'improvviso flusso di rifugiati ucraini. Questo comportamento è comprensibile soprattutto nell’ottica di memoria storica di fronte alla volontà della Russia, più o meno esplicita, di stabilirsi come potenza egemone nello spazio ex-sovietico. In particolare la Polonia ha mostrato in termini numerici la sua vicinanza ospitando sul suo suolo 3,5 milioni di rifugiati ucraini (quasi il 10% della popolazione polacca), seguita da Romania, Ungheria, Moldavia, Slovacchia. Appare chiaro come sia presente un doppio standard nelle politiche di accoglienza: gli stessi paesi di Visègrad, tanto ostili alle politiche di accoglienza promosse dall’Ue, per esempio per i profughi siriani, sono i più disponibili nei confronti per questo tipo di conflitto, che sentono più vicino. Dall’altra parte la Russia sta vivendo una situazione demografica simile, anche se senza i drammi della guerra in casa propria. Il numero delle nascite, già in calo da anni, è previsto precipitare del 12% nel 2023, abbinato a un calo degli stipendi del 7,6% nello stesso periodo.

Bassa natalità nel mondo


Non solo nelle zone coinvolte nel conflitto, la bassa natalità è un fenomeno che interessa molte parti del mondo, anche insospettabili. Come l’Iran, grande paese islamico da 88 milioni di abitanti, che, al contrario di come si possa pensare, ha una fecondità al di sotto della soglia di rimpiazzo e un declino demografico più rapido della Cina dopo l’introduzione del figlio unico. Questo succede perché le donne iraniane, anima delle diffuse ribellioni in atto, hanno preso in mano il pieno controllo della propria riproduttività. La Cina poi, gigante demografico per eccellenza, nonostante gli sforzi del regime di Xi Jimping per sostenere la crescita delle nascite, ha registrato quest’anno per la prima volta un calo della sua popolazione. Nell’ottica dello sviluppo economico e sociale del paese, l’invecchiamento, frutto di decenni di rigide politiche di controllo delle nascite, è un problema per il sistema previdenziale e sanitario. In Europa occidentale invece la tradizionale relazione negativa tra fecondità e istruzione tende a diventare meno scontata in presenza di ruoli di genere più bilanciati. Le donne più istruite tendono a recuperare in termini di fecondità nel passaggio al secondo figlio in situazioni di egualitarismo di genere, in cui la relazione negativa tra istruzione femminile e fecondità si indebolirebbe e, in alcuni Paesi, si potrebbe addirittura ribaltare diventando positiva. Tuttavia l’andamento demografico minaccia pesantemente il welfare europeo, tra i più strutturati al mondo (circa il 50% di quello erogato da tutti i paesi del pianeta), a causa dell'invecchiamento della popolazione e della scarsità di giovani.