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Live streaming, scatta la censura in Cina

Stretta sugli streamer: stop a pornografia, droga e discriminazione, ma anche duro contrasto a presentatori che non aderiscono attivamente all'interpretazione ufficiale del socialismo cinese

Anche il fenomeno del live streaming finisce sotto la scure della censura cinese. Il governo ha recentemente emanato un codice di condotta per i cosiddetti presentatori online, che si propone di diventare una sorta di vademecum deontologico trasversale per chiunque sia impegnato nell'ambito del live streaming.
Il documento, suddiviso in 18 punti, mette al bando argomenti come pornografia, droga, abuso di alcool, gioco d'azzardo, truffe e armi. Nel mirino finiscono anche l'incitamento all'odio, il fanatismo religioso e messaggi che possano indurre gli ascoltatori al suicidio o alla mutilazione. Forte giro di vite anche sulle fake news e sui deepfake, con uno stop tassativo alla pratica del face swapping, ossia alla modifica e all'alterazione digitale del volto di personaggi come leader di partito, eroi e martiri della Cina. Previsto inoltre l'obbligo di un'adeguata certificazione per diffondere contenuti su legge, salute e finanza.

Censura dei costumi

Più in generale, il codice di condotta impone ai presentatori online di aderire attivamente ai valori dell'interpretazione ufficiale del socialismo cinese. E così, per esempio, finisce al bando anche la vendita di abbigliamento giudicato “sessualmente provocante”, l'ostentazione di benessere sfrenato con gioielli o altri oggetti di valore, gli stili di vita esagerati e qualsiasi cosa possa esasperare la distanza sociale ed economica con i ceti più bassi della popolazione. Anche l'aspetto estetico degli streamer deve essere ben definito: trucco, abiti e gestualità devono infatti conformarsi ai gusti del pubblico in base ai canoni tradizionali.
Il documento prevede infine la pubblicazione di una blacklist con i nomi di tutti gli streamer bannati per non essersi adeguati alle direttive del governo.

L'auto-censura e il ban dell'influencer

Quello del live streaming è un fenomeno in netta crescita in Cina. Alcune stime parlano di un settore che macina 635 milioni di visualizzazioni all'anno. Per alcuni è diventato un vero e proprio lavoro: gli streamer ricevono donazioni dagli utenti e hanno la possibilità di guadagnare denaro anche grazie alla pubblicità e alla vendita di prodotti e servizi durante le proprie trasmissioni. Anche in questo caso, tuttavia, sembra in arrivo un nuovo giro di vite: il codice di condotta prevede infatti il divieto di donazioni troppo cospicue, obbliga i presentatori a dichiarare al fisco tutte le proprie entrate e introduce addirittura un limite a un fantomatico “eccesso di popolarità”.
L'obiettivo del governo è quello di inquadrare il live streaming in un nuovo settore produttivo e, al tempo stesso, evitare che i professionisti del mercato possano diventare troppo influenti e, di conseguenza, diffondere idee e posizioni diverse da quelle stabilite dal codice di condotta.
Il primo risultato del documento, tanto dettagliato quanto (forse proprio per questo) suscettibile di diverse interpretazioni, è stata un'ondata di auto-censura da parte degli stessi streamer: molti, secondo un approfondimento dell'MIT Technology Review, avrebbero infatti iniziato a moderare i propri contenuti proprio per evitare il rischio di violare il codice di condotta, essere espulsi dalle piattaforme e perdere così profitti. Nel frattempo, però, sarebbe arrivato anche il primo ban: Lawyer Longfei, account di Douyin (l'equivalente cinese di TikTok) da 9 milioni di follower, è stato messo a tacere con l'accusa di “divulgare energie negative”. L'account offriva consulenza legale in ambito matrimoniale e aiutava le donne ad affrontare le cause di divorzio più ostiche, cosa forse non in linea con la politica nazionale sul matrimonio.