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Sprechi alimentari, il problema è di tutti

Carenze nella supply chain, comportamenti scorretti e nuove aspettative da parte del consumatore. Uno studio di Capgemini Institute Research analizza gli orientamenti della popolazione e le risposte delle aziende a un bisogno crescente di razionalizzazione e recupero in ambito alimentare

In uno scenario globale afflitto dall’emergente crisi alimentare, dal cambiamento climatico e da un’inflazione galoppante, la ricerca realizzata da Capgemini Institute Research affronta il grande tema delle perdite e degli sprechi alimentari. L’indagine è stata condotta a livello globale nel periodo compreso fra aprile e maggio di quest’anno attraverso interviste a esperti di settore e sondaggi rivolti 10mila consumatori e mille organizzazioni fra produttori alimentari, retail e Gdo. L’analisi si basa sui dati emersi dalle sensazioni e dalle aspettative espresse dai consumatori, anche attraverso i social network, e sull’analisi delle strategie attuate dalle imprese del settore alimentare per sensibilizzare la clientela e ridurre i costi derivanti da pratiche di cattiva gestione, riscontrabili peraltro in tutta la filiera di produzione e distribuzione.

Il quadro generale

A fronte di 811 milioni di persone denutrite nel mondo, almeno 2,5 bilioni di tonnellate di cibo prodotte ogni anno non vengono consumate. Per dichiarare la fine della fame nel mondo basterebbe non sprecarne soltanto la metà. Ad affermarlo è il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite. In cifre percentuali, il 40% della produzione mondiale di materia commestibile viene sprecata. Di più: l’impatto sull’ambiente dello spreco alimentare globale è soltanto di poco inferiore a quello dell’inquinamento prodotto da Stati Uniti o dalla Cina, i due Paesi che emettono più emissioni di gas serra (8-10%, dati espressi dalla Fao).
Poi ci sono le perdite sui mercati, come evidenzia la ricerca di Capgemini Institute Research secondo cui “il costo finanziario dello spreco alimentare è stimato a 1 trilione di dollari”. Analizzando la filiera, 1,2 bilioni di tonnellate di cibo vengono persi già nelle fasi antecedenti e successive al raccolto o nei mattatoi. Inoltre, 930 milioni di tonnellate vengono sperperate fra negozi, supermercati e consumatori finali, ai quali è imputabile il maggior spreco.

Consumatori consapevoli

Lo stato di allerta accesosi durante i mesi più duri della pandemia, poi il conflitto bellico, sospinto da un generale andamento al rialzo dei prezzi energetici e l’impennata dell’inflazione, hanno contribuito a far maturare nel consumatore un approccio diverso alla spesa alimentare. La ricerca rivela che a seguito dell’aumento dei prezzi e dei problemi di approvvigionamento, il 72% dei consumatori è diventato più conscio della propria impronta in termini di spreco alimentare, mentre prima della pandemia lo era soltanto il 33 %. La ricerca spiega inoltre che ogni anno ciascun consumatore manda a male 74 chilogrammi di cibo, in totale sono 570 milioni le tonnellate di cibo sprecate soltanto nei nuclei familiari.

Il consumatore è poi diventato più attento e desidera informarsi per conoscere i metodi che lo aiutano a conservare meglio e più a lungo i cibi nella propria dispensa. I comportamenti consapevoli includono l’utilizzo di una semplice lista della spesa per evitare l’acquisto di cibo in eccedenza e relativi sprechi. Ma si nota anche una maggior propensione all’acquisto di prodotti leggermente deteriorati, quando questi sono venduti a un prezzo inferiore.

La ricerca conferma che “lo spreco alimentare è percepito emotivamente dal consumatore”. Circa il 56% degli intervistati dichiara che non vuole sprecare per risparmiare e che si “preoccupa della fame nel mondo e vuole contribuire ad alleviarla”. Non è più solo la vecchia morale: il 60% degli intervistati oggi si sente colpevole quando spreca il cibo e vorrebbe che i rivenditori e i produttori riducessero altrettanto lo spreco. Nel dettaglio il 61% dei consumatori ritiene che i brand, la grande e la piccola distribuzione, dovrebbero fare di più per ridurre lo spreco alimentare. Il sentimento negativo del consumatore sfocia poi invadendo i feed dei social network, dove si reclama una maggiore innovazione dei prodotti e del packaging, oltre che una maggiore chiarezza sulle etichette informative e in generale più informazioni per il consumatore. Solo il 33% degli intervistati trova consono il metodo classico di etichettatura e gradirebbe l’introduzione di etichette arricchite di un QR code per l’accesso a informazioni rapide sulla storia del prodotto e sulla sua qualità. I consumatori, infine, preferiscono in maniera quasi unanime (91%) l’acquisto di cibo proveniente da aziende che si stanno adoperando per ridurre lo spreco alimentare.

I costi associati agli sprechi

Per le imprese produttrici il costo dello spreco alimentare equivale al 5,6% delle vendite totali. Solo il 28% delle imprese che processano cibo e di quelle della piccola e grande distribuzione si sta invece attivando per sensibilizzare e ridurre lo spreco alimentare del consumatore finale. Ma ci sono degli altri esempi virtuosi. Tesco, player della Gdo nel Regno Unito, si è impegnato nel 2021 sperimentando un modello in cui il cibo sprecato nei propri supermercati veniva utilizzato per nutrire e portare a maturazione un particolare tipo di insetti da laboratorio, in grado di consumare quotidianamente ben 300 chilogrammi di sprechi, trasformandosi poi a sua volta in mangime per gli animali.

Tecnologie per il monitoraggio dei processi

Per contrastare il fenomeno dello spreco alimentare nelle aziende è necessaria l’implementazione di nuove soluzioni tecnologiche che siano in grado di elaborare i dati e prevedere la domanda. È doveroso poi monitorare le temperature e un miglior controllo dell’inventario. La governance, si legge nella ricerca, “deve fissarsi degli obiettivi, misurare i progressi e strutturarsi per comprendere alla radice le cause degli sprechi”. Kevin Akaloo, vice president Global Health Safety & Environment di Mondelēz International, ha spiegato come nella sua azienda si sia continuato “a progettare processi e linee per evitare la generazione di rifiuti. Utilizziamo telecamere ad alta velocità per analizzare i processi, migliorando le ispezioni e la manutenzione per ridurre le interruzioni di linea e sviluppare processi di cambio formato più efficienti. Di conseguenza – continua Akaloo –, nel 2021 abbiamo ottenuto una riduzione del 28% (rispetto all'anno base del 2018) dei rifiuti alimentari nei siti di produzione interni e una riduzione del 65% dei rifiuti nella distribuzione".
Le conclusioni del rapporto di Capgemini Institute Research spronano le organizzazioni del settore alimentare a dotarsi di tecnologie che hanno fatto passi da gigante: l’Internet of things per esempio potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella lotta agli sprechi. Ci sono, continua il rapporto, soluzioni disponibili per costruire una supply chain agile e intelligente che favorisce la trasparenza e rafforza la collaborazione fra i partner dell’ecosistema. Il tracciamento dello spreco alimentare poi, deve avvenire di pari passo aumentando la consapevolezza dei consumatori, i quali devono fare a loro volta la loro parte.