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Scenari di crisi, la forza delle aziende di servizi

In un contesto critico, come è quello della pandemia, le imprese di produzione subiscono un impatto negativo superiore rispetto a quelle dei servizi e in genere alle attività di servitizzazione. La ragione sta nella mission stessa di queste aziende ma anche in modelli di business più agili

La pandemia di Covid-19 ha rappresentato un evento eccezionale, a cui le imprese – nella gran parte – non erano preparate. Il rischio del contagio e l’adozione di misure di chiusura e confinamento hanno imposto ai responsabili aziendali di adottare soluzioni per contenere il danno e, per quanto possibile, salvaguardare la continuità operativa. Una delle soluzioni adottate, e probabilmente quella maggiormente condivisa, ha riguardato l’adozione del lavoro a distanza, comunemente definito come smartworking anche se non sempre ne aveva tutte le caratteristiche. L’adozione di soluzioni di digitalizzazione è stata una delle vie d’uscita ricercate dalle imprese, anche nel settore manifatturiero, con la possibilità di avviare nuovi servizi dedicati ai clienti, modificando il modello di business per adattarlo alla situazione contingente.

 
Il tema è stato alla base dell’indagine “Navigating disruptive crises through service-led growth: The impact of COVID-19 on Italian manufacturing firms”, condotta da un gruppo di studiosi (Mario Rapaccini, Nicola Saccani, Christian Kowalkowski, Marco Paiola, Federico Adrodegari) che hanno analizzato il caso particolare del Nord-Italia, area ad elevata intensità produttiva e colpita fortemente nel periodo più intenso della pandemia. In particolare, le interviste condotte con i manager delle imprese coinvolte nella ricerca hanno permesso di indagare il ruolo dei servizi e di identificare un modello in quattro fasi per la gestione della crisi, che potrebbe rappresentare una guida nell’eventualità di nuovi eventi pandemici o perturbazioni economiche. 

Il tema di fondo è l’analisi delle scelte effettuate nell’emergenza per rispondere alle sfide prima della sopravvivenza e poi della ripartenza nella nuova normalità; in questo senso la servitizzazione, cioè la possibilità di predisporre servizi digitali, si è rivelata una soluzione pratica e relativamente veloce a sostegno della continuità operativa e del rapporto con i clienti. Ma non solo: le imprese che prevedono l’erogazione di servizi nel loro modello di business hanno subìto un impatto negativo inferiore rispetto a quelle più tipicamente manifatturiere.

Dai servizi una risposta immediata alle nuove esigenze


Dalle interviste risulta evidente che nei primi mesi della pandemia il 66% delle imprese manifatturiere si attendevano un impatto negativo o molto negativo sulle proprie vendite, di contro al 49% delle imprese di servizi. Il settore dei servizi, così come le attività di servitizzazione previste dalle imprese di produzione per il supporto e l’assistenza ai clienti, non solo hanno mostrato di temere meno l’impatto della pandemia, ma in alcuni ambiti hanno registrato una crescita dell’attività. In particolare, hanno registrato un impatto negativo minore o un impatto positivo i venditori di servizi tecnologici – spinti dalla necessità di servizi in rete per il lavoro a distanza e per l’e-commerce – e i servizi di assistenza a strumentazione e macchinari, inclusi quelli di servitizzazione, per la tendenza dei proprietari a riparare e a procrastinare nuovi acquisti date le difficoltà del momento.

 
Entrando nel dettaglio, lo studio riporta aspettative differenti anche per tipologia di servizi. In base alle attese dichiarate, i servizi più avanzati - come la manutenzione predittiva e l'ottimizzazione della produttività o dei consumi energetici – attendevano un impatto minore rispetto ai servizi di manutenzione, riparazione e formazione di base. Secondo gli autori dello studio, le ragioni del vantaggio dei servizi risiedono sia nella maggiore necessità della loro erogazione, sia nella difficoltà di modificare una condizione in essere definita da contratto.

 
Allo stesso modo, si mostrano avvantaggiati i fornitori di servizi basati su modelli di business alternativi alle vendite pure, quali leasing, affitti, pay-for-use o pay-for-performance. Da tali risultati consegue che le aziende che hanno sviluppato nuovi modelli di business e servizi avanzati avranno subito un impatto minore dalla crisi pandemica.

 
Come gestire la crisi in 4 fasi


La sintesi delle modalità con cui le imprese industriali si sono mosse per adattarsi alla novità della pandemia ha permesso agli studiosi di realizzare un modello di risposta resiliente alla crisi in quattro fasi: inizialmente, le imprese hanno dovuto approcciarsi alla realtà della pandemia, cercando informazioni utili prima a conoscere il fenomeno e poi a prepararsi per quelle che avrebbero potuto essere le misure di contenimento messe in atto; di seguito sono state predisposte le azioni utili a mitigare questi impatti. Con un ritrovato equilibrio, pur a pandemia non conclusa, i manager hanno dovuto poi pianificare le misure adeguate alla ripartenza e, più a lungo termine, all’adattamento alla nuova normalità.

 
Da questa analisi è stato concepito il modello di gestione delle crisi in 4 fasi che potrà rivelarsi utile in possibili nuove emergenze. La Fase 1 (Calamity) è necessariamente molto rapida e va svolta in pochi giorni, quelli necessari a prendere le misure del fenomeno e attivare una task force per la gestione della crisi, preparare i lavoratori dell’azienda ed elaborare i possibili scenari di reazione.

 
La Fase 2 (Quick & Dirty) riguarda la reazione immediata alla situazione di emergenza nel momento in cui si concretizza: si concentra sull’adozione dei protocolli di prevenzione e sicurezza e sulle misure per ridurre l’attività produttiva, individuando nello stesso tempo e in collaborazione con clienti e partner le possibili soluzioni per garantire la continuità operativa. La durata è stimata in settimane.


La Fase 3 (Restart) prevede l’organizzazione della ripartenza in un contesto di crisi ancora in corso, che tenga in considerazione le persistenti limitazioni: l’azienda deve essere pronta a rispondere tanto a una domanda del mercato in rapida crescita quanto alla possibilità che nuove limitazioni o turbolenze rallentino nuovamente l’attività. La scala temporale di questo periodo si valuta in mesi.

 
La Fase 4 (Adapt to next normal) prevede la comprensione dei possibili cambiamenti intercorsi nel settore, nel mercato e nella società come conseguenze della crisi, e la successiva messa in atto di nuovi processi in risposta alla nuova normalità, un percorso che può richiedere alcuni anni.

 
Così definito, nelle intenzioni degli autori il modello potrebbe diventare di riferimento per le imprese (non solo italiane) in occasione di eventuali altre prossime crisi, non necessariamente di tipo pandemico, che potrebbero arrivare a turbare la società e il mercato.