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Andrew Ng: “Prima il business, poi l'intelligenza artificiale”

Il pioniere dell'informatica, in un'intervista all'Mit Technology Review, ricorda come l'intelligenza artificiale sia di fatto uno strumento a servizio di un'idea: meglio dunque partire piano, focalizzarsi sulla missione e sfruttare le risorse, anche scarse, che si hanno a disposizione

Il nome di Andrew Ng non dirà nulla alla maggior parte delle persone. Eppure il suo lavoro è ormai diventato parte integrante della nostra vita digitale. Ha fondato e diretto Google Brain, un team di ricerca del colosso di Mountain View dedicato all'artificial intelligence e al machine learning, e lavorato per anni come chief scientist di Baidu, il principale motore di ricerca in Cina, dove ha contribuito a creare l'Artificial Intelligence Group della società. Nel frattempo, nel 2012, ha fondato Coursera, uno dei più diffusi portali di online education a livello globale. Attualmente professore ordinario di machine learning presso il dipartimento di informatica della Stanford University, nel 2017 ha lanciato Landing AI, una società specializzata nella fornitura di soluzioni SaaS basate sull'intelligenza artificiale.
Insomma, bastano poche righe per capire perché questo quarantenne britannico, nato da genitori originari di Hong Kong e stabilitosi poi definitivamente negli Stati Uniti, sia così ascoltato nel mondo dell'informatica e dell'innovazione digitale: Andrew Ng è un vero e proprio pioniere nel settore dell'intelligenza artificiale e del machine learning. Ecco perché fa quasi uno strano effetto sentirgli dire che, a conti fatti, l'intelligenza artificiale non è tutto. Ng lo ha detto lo scorso 23 marzo, durante un intervento all'EmTech Digital che è stato poi condensato in un'intervista pubblicata sull'Mit Technology Review. Interrogato su come dar vita a un business AI-first, Ng ha semplicemente detto: “Non fatelo”. Secondo Ng, infatti, farlo significherebbe focalizzare “il team sulla tecnologia, cosa che potrebbe essere interessante per il team di ricerca, ma un business tende a essere consumer-led o mission-led, quasi mai technology-led".


Intelligenza artificiale come strumento

Il messaggio di Ng, a voler leggere fra le righe, è che l'intelligenza artificiale non deve essere un fine in sé, ma uno strumento a servizio di uno scopo. Focalizzarsi troppo sulla tecnologia può rivelarsi controproducente e togliere attenzione alle problematiche di business che un uso più accorto dell'intelligenza artificiale potrebbe contribuire a risolvere. Probabilmente, è anche questo approccio sbagliato al problema a impedire un uso più diffuso della tecnologia in settori diversi dalla tradizionale informatica. “Vorrei portare l'intelligenza artificiale in tutte le altre industrie, che sono poi la parte più importante della nostra economia”, ha detto Ng. “Credo – ha aggiunto – che ci siano molti settori pronti all'intelligenza artificiale”.
È un po' quello che si propone di fare Landing AI. Ng si è focalizzato soprattutto sul settore manifatturiero. “Uno dei progetti di cui sono maggiormente entusiasta riguarda la visual inspection”, ha affermato. “Nel comparto della manifattura – ha proseguito – nessuna società ha per esempio a disposizione miliardi (o anche solo un milione) di immagini di smartphone difettosi per rilevare eventuali graffi”. Eppure, secondo Ng, è possibile addestrare un algoritmo di intelligenza artificiale anche con poche centinaia di immagini. “Alla fine viene fuori che è possibile farlo molto spesso: mi sono sorpreso moltissime volte di quante cose di possono fare anche con una piccola quantità di dati”.


La questione dei noisy data

Il tema dei dati è un altro freno alla diffusione dell'intelligenza artificiale nell'economia più generale. A detta di Ng, un grosso errore compiuto dai manager è prendersi uno o due anni per costruire un'infrastruttura su cui poi addestrare i propri dati. “È un errore, non fatelo. Innanzitutto, penso che nessuna società oggi sul pianeta, neppure una tech giant, ritenga i propri dati completamente puliti e perfetti. E poi spendere due o tre anni per mettere in piedi una bellissima infrastruttura di dati significa non ricevere alcun riscontro dal team di intelligenza artificiale, che potrebbe invece aiutare a costruire questa infrastruttura”. Per Ng, è dunque meglio “partire con i dati che possono già consentire al team di intelligenza artificiale di dare un feedback su come migliorare il processo di raccolta”.

In definitiva, secondo l'esperto informatico, è tempo di un cambio di approccio e di passare dai big data ai good data. “Se hai a disposizioni milioni di immagini, vai avanti, usali tutti, è magnifico. Tuttavia – ha spiegato – moltissimi problemi possono essere affrontati con una quantità di gran lunga inferiore di informazioni, a patto che siano ben etichettate e catalogate”. Ng ha portato l'esempio della speech recognition. Utilizzare etichette diverse, magari tutte formalmente corrette dal punto di vista di un essere umano, “produce noisy data e ciò penalizza il sistema di riconoscimento vocale”. Lo stesso avviene nella manifattura, per esempio nelle mansioni di controllo dell'acciaio. Una gestione attenta dei dati, nella visione di Ng, può dunque essere efficace come un database con miliardi di immagini. E rendere così l'intelligenza artificiale uno strumento a disposizione di qualsiasi settore economico.