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Una disoccupazione al femminile

A dicembre 2020, su 101mila posti di lavoro cancellati 99mila erano occupati da donne. Non è evidentemente un caso in un Paese che ha profondi problemi di parità di genere. I sindacati chiedono misure straordinarie ma anche innovative per dare fiducia e speranza dove sembra non essercene più

L’Italia non è un Paese per donne. O almeno non lo è per donne lavoratrici: sono loro che stanno pagando il prezzo più alto alla crisi economica e sociale causata dalla pandemia. Mentre il blocco dei licenziamenti è ancora attivo, almeno fino a marzo, a perdere il lavoro sono le donne. A dicembre, come ha comunicato l’Istat, gli occupati sono tornati a calare, insieme a un incremento di disoccupati e inattivi. La diminuzione dell’occupazione, pari al 0,4% rispetto a novembre, si traduce in 101mila posti di lavoro cancellati. Forse, però, si dovrebbe parlare di occupate, perché il dato che impressiona di più è che su 101mila unità, 99mila sono donne. Il tasso di disoccupazione è salito a dicembre al 9% (+0,2%). La crisi si sta abbattendo su lavoratori autonomi, ma anche dipendenti, senza grossa distinzione per le classi d’età, ma con la prerogativa di essere una crisi occupazionale (sembrerebbe) al femminile. Anche guardando ai dodici mesi, il saldo negativo è pari di 444mila posti di lavoro persi, divisi non equamente tra le 312mila donne e i 132mila uomini.

Calano le ore lavorate

Nel complesso il tasso di occupazione scende al 58% e il numero di persone in cerca di lavoro torna a crescere (+1,5%), tranne che per la fascia 15-24 anni, dove il dato cala. Il tasso di disoccupazione, come detto, sale al 9%, ma tra i giovani è al 29,7% (+0,3%). Crescono quindi gli inattivi (+0,3%) tra le donne, nella fascia 15-24 anni e in quella 35-49, mentre diminuiscono tra gli uomini e le restanti classi di età. Guardando al trimestre, le persone in cerca di occupazione calano ancora (-5,6%, pari a -137mila). Le flessioni congiunturali dell’occupazione, registrate tra marzo e giugno, insieme a quella di dicembre, fa notare Istat, hanno portato l’occupazione al livello più basso dal dicembre 2019. A dicembre 2020, le ore pro capite effettivamente lavorate settimanalmente sono pari a 28,9, cioè 2,9 ore meno del livello di dicembre 2019.

Servono strumenti straordinari e innovativi

Secondo la Cisl, il calo dell’occupazione è ancora una volta concentrato sulle donne e sui giovani perché “meno tutelati dal divieto di licenziamento in quanto spesso impegnati in lavori a termine”. Colpisce anche “il crollo dell’occupazione indipendente”. Necessaria la proroga del divieto di licenziamento e della cassa integrazione Covid, “senza alcuna selettività”, precisa il sindacato, che chiede anche “la riproposizione delle indennità, in particolare per lavoratori con co.co.co. e partita Iva iscritti alla gestione separata”. Cgil parla anche della necessità di mettere in campo “strumenti straordinari e innovativi per governare la fase di transizione che verrà determinata dall’onda lunga della crisi”. Il rischio è andare incontro all’esplosione di “una vera e propria bomba sociale”.

Poca fiducia, nonostante i vaccini

Il nuovo governo Draghi si troverà a gestire un Paese ferito e sfiduciato. Nel 2020, il Pil è calato dell’8,9%, ironicamente meglio del previsto (tra il -9% e il -9,2%). Secondo Istat, la variazione acquisita per il 2021 è positiva del 2,3%: un po’ poco per parlare di ripresa o rilancio. Nemmeno l’arrivo del vaccino sembra aver infuso un po’ di fiducia nel futuro, almeno tra i consumatori. A gennaio, l’Istat stima una flessione dell’indice del clima di fiducia dei consumatori da 101,1 a 100,7, mentre l’indice composito per le imprese aumenta lievemente (da 87,7 a 87,9). È paradossalmente il settore dei servizi, il più colpito dalla crisi pandemica, a trainare le aspettative, sia per quanto riguarda l’occupazione (nelle costruzioni) sia per le vendite al dettaglio.