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Buco nell’ozono, un caso ancora aperto

A fine dicembre si è chiuso un buco di dimensioni record che si era aperto nel 2020 al polo sud. Sebbene la situazione sia migliorata rispetto agli anni 80 del secolo scorso, il monitoraggio mostra che il fenomeno non si è mai arrestato

Nel corso del 2020 era stato lanciato l’allarme relativo a un nuovo buco dell’ozono antartico di dimensioni record. Secondo quanto comunicato dall’Omm-Wmo, l’organizzazione mondiale di meteorologia, l’emergenza sembra ora rientrata, sebbene la chiusura di quest’ultimo buco è avvenuta “dopo una stagione eccezionale a causa delle condizioni meteorologiche naturali e della continua presenza di sostanze che riducono lo strato di ozono nell’atmosfera”. L’Omm-Wmo ricorda che il buco era cresciuto rapidamente da metà agosto scorso, raggiungendo il picco di circa 24,8 milioni di chilometri quadrati il 20 settembre 2020, diffondendosi su gran parte del continente antartico.

Dal Protocollo di Montreal a oggi
Dalla metà degli anni 80 del secolo scorso, e per gran parte dei successivi anni 90, anche in conseguenza del maggior monitoraggio della Terra per mezzo di satelliti e palloni meteorologici, il principale tema ambientalista trattato dai media mondiali era la dimensione dello strato di ozono sulle calotte polari. Come noto, lo strato di ozono è la più importante difesa nei confronti delle radiazioni ultraviolette emesse dai raggi solari. La scoperta è stata resa nota nel 1985 da un gruppo di scienziati che notarono una diminuzione del 40% dello strato di ozono in corrispondenza del polo sud.
Le cause del buco dell’ozono sono da ricondurre all’inquinamento atmosferico e all’eccessivo uso di alcuni tipi di gas. I primi a essere messi sotto accusa sono stati i Cfc (clorofluorocarburi), utilizzati soprattutto negli impianti di refrigerazione, negli insetticidi e nelle bombolette spray, che sono stati messi al bando dal 1987. In quell’anno, infatti, le Nazioni Unite hanno stipulato un accordo, il cosiddetto Protocollo di Montreal per regolare le quantità di questi gas nell’atmosfera. Sottoscritto da 197 Paesi, è stato l’unico trattato delle Nazioni Unite nella storia a ottenere la ratifica universale. Nel tempo, il protocollo è stato aggiornato per includere più sostanze dannose per l’ozono e il clima. Ad esempio, nel 2016, gli idrofluorocarburi sono stati aggiunti all’elenco delle sostanze controllate, perché sono stati considerati potenti gas serra. Il trattato è considerato uno dei protocolli di maggior successo per affrontare una sfida ambientale causata dall’uomo.

La situazione attuale
Fino a poco tempo fa il buco dell’ozono dell’Antartide sembrava quasi chiuso. Nel 2019 aveva raggiunto il minimo storico dal 1982, con una superficie di 10 milioni di chilometri quadrati. Tuttavia, nel 2020 è tornato a crescere velocemente. Una situazione che ciclicamente si ripete ma che quest’anno ha raggiunto livelli quasi da record. Le misurazioni di Sentinel-5P hanno mostrato che il buco dell’ozono nel 2020 ha raggiunto la dimensione massima pari a circa 25 milioni di chilometri quadrati il 2 ottobre scorso, paragonabile a quella del 2018 e del 2015 (dove l’area era di circa 22,9 e 25,6 mq nello stesso periodo).
L’Omm-Wmo ricorda che il buco del 2020 è stato quello “più duraturo e uno dei più grandi e profondi dall’inizio del monitoraggio 40 anni fa”.

Perché si era riaperto il buco
Questo buco, secondo l’organizzazione internazionale, è stato provocato da un vortice polare forte, stabile e freddo e da temperature molto fredde nella stratosfera (lo strato dell’atmosfera tra circa 10 km e circa 50 km di altitudine). L’Omm spiega che questi stessi fattori meteorologici hanno contribuito al buco dell’ozono record anche dalla parte opposta, cioè nell’Artico, sempre nel 2020. Una situazione in contrasto con il buco dell’ozono antartico insolitamente piccolo e di breve durata che c’è stato nel 2019. “Le ultime due stagioni del buco dell’ozono dimostrano la sua variabilità di anno in anno e migliorano la nostra comprensione dei fattori responsabili della sua formazione, estensione e gravità”, ha affermato Oksana Tarasova, capo della divisione di ricerca sull’ambiente atmosferico dell’Omm. “Abbiamo bisogno di un’azione internazionale continua – ha avvertito – per applicare il protocollo di Montreal”.