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Il Covid-19 è alleato delle mafie

I clan sono stati molto attivi durante l’ultimo anno e hanno sfruttato le opportunità per infiltrarsi in nuovi business. Secondo il rapporto delle associazioni Libera e Lavialibera, la debolezza delle imprese italiane colpite dalla crisi potrà dare ulteriore forza alle organizzazioni criminali

La pandemia, oltre ad aver sconvolto la vita quotidiana delle persone e aver piegato l’economia italiana, sta facilitando il lavoro della criminalità organizzata. Dal turismo alla ristorazione, dal settore sanitario privato a quello dei rifiuti, dagli appalti all’energia, fino ovviamente alla finanza, il nuovo coronavirus sta diventando veicolo di un classico contagio italiano: il contagio mafioso. I clan, secondo il rapporto delle associazioni Libera e Lavialibera, intitolato La tempesta perfetta, stanno sfruttando le maglie allargate dall’emergenza per insinuarsi nei nuovi affari come, per esempio, le opere di ristrutturazione e ampliamento delle Residenze sanitarie per anziani (Rsa), che saranno riorganizzate con conseguenti appalti da assegnare e materiale sanitario da acquistare. Le mani della criminalità organizzata sulla pandemia sono evidenti dal lavoro delle forze dell’ordine: Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Direzione investigativa antimafia, Procura nazionale, nonché dagli studi e dai rapporti sul riciclaggio della Banca d’Italia. È lì che si vede plasticamente in che modo le mafie hanno approfittato della pandemia e si prevede come lo faranno ancora.

Crescono i “reati spia”

Mafiosi e corrotti sono in agguato o già operanti, come si evince bene dall’incremento di alcuni reati cosiddetti spia. Per esempio, si è registrata un’impennata, con un andamento disomogeneo a livello territoriale, del numero di interdittive antimafia emesse dalle prefetture nei confronti di aziende controllate o condizionate dalle organizzazioni criminali. Nei primi nove mesi dell’anno, in media sono state sei al giorno. Il ministero dell’Interno ne ha contate 1.637, contro le 1540 dello stesso periodo del 2019, con un incremento del 6,3%. Aumenti significativi in Emilia Romagna (+89%) e in Campania (+88%), mentre ci sono tre nuove entrate tra le regioni italiana in questa speciale classifica: la Sardegna, che passa da zero interdittive del 2019 alle otto del 2020; le Marche, da zero del 2019 alle dieci del 2020; e persino il Trentino Alto Adige, da zero a due interdittive. Boom del Molise, che passa dalle sei interdittive del 2019 alle 28 del 2020 (+366%) e della Toscana con 26 interdittive nel 2020 contro le dieci nel 2019 (+160%).

La firma dei clan, tra usura e cyber crime

Le anomale operatività bancarie nel periodo aprile-settembre hanno generato 23 “atti d’impulso di indirizzo pre-investigativo” collegati alla criminalità organizzata, che hanno visto il coinvolgimento di 26 direzioni distrettuali competenti e 128 soggetti messi sotto controllo. Nel 2019 erano stati 18 gli atti d’impulso e 62 i soggetti coinvolti. Come si legge nella Relazione annuale della Dna, il 31% degli atti di impulso riguardano “contesti riferibili alla Camorra” e in particolare a clan federati ai Casalesi; il 19% sarebbe opera dall’Ndrangheta e l’8% di Cosa nostra. Ben il 38% riguarda le altre organizzazioni criminali dei Casamonica e Fasciani. Cresce anche l’usura, con un incremento del 6,5%, passando da 92 a 98 episodi denunciati nei primi sei mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2019. Allarme rosso anche per il cyber crime: le organizzazioni criminali, sia italiane sia straniere, stanno puntando molto questo “nuovo mercato”. C’è stata una forte crescita delle segnalazioni della Polizia postale: dal primo gennaio al 29 ottobre 2020 sono stati rilevati 476 attacchi informatici contro i 105 del 2019. Infine, prospera a livello europeo il traffico di stupefacenti, anche in periodi di lockdown. Durante la prima metà del 2020, i traffici sono stati maggiori rispetto agli stessi mesi degli anni precedenti: 14 tonnellate in Spagna tra marzo e aprile, cioè sei volte la quantità scoperta nello stesso periodo del 2019; altre 18 tonnellate in Belgio, cioè sei in più dell’anno scorso, dicono dall’Europol.

Liquidità sporca per imprese in ginocchio

Questi i numeri principali, che però non dicono ancora tutto del rischio prospettico. Il rapporto cita uno studio di Banca d’Italia che ha analizzato l’impatto dalla pandemia di Covid-19 sul fabbisogno di liquidità, la patrimonializzazione, la redditività e la struttura finanziaria di circa 730mila società italiane. Per 142mila di queste aziende, la riduzione dei fatturati avrebbe determinato un fabbisogno di liquidità di circa 48 miliardi di euro; le misure di sostegno previste dal Governo hanno permesso a 42mila di queste di fronteggiare le loro esigenze di liquidità, ma per le 100mila rimanenti mancano ancora circa 33 miliardi. “Quante di queste imprese – si chiede Libera – ritornerà sul mercato salvate da una liquidità sporca che necessita di essere riciclata?” Il timore, purtroppo fondato, è che queste imprese siano facili prede per la criminalità organizzata.