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Per il Mezzogiorno recessione senza precedenti

Da Nord a Sud l’economia è in grande difficoltà. Secondo il Rapporto Svimez 2020, la pandemia è stato un acceleratore di processi di ingiustizia sociale: colpiti i lavoratori e le categorie più fragili

Il Mezzogiorno nel pieno di una devastante crisi, con la recessione dovuta all’epidemia di coronavirus che ha colpito un tessuto economico che non era ancora riuscito a raggiungere i livelli occupazionali e produttivi precedenti alla crisi del 2008. É questa la fotografia contenuta nel Rapporto Svimez 2020, ‘L’economia e la società del Mezzogiorno’.
Un quadro che desta più di una preoccupazione e che mostra come a soffrire in questo periodo di contrazione economica siano le fasce della popolazione più fragili, i giovani e le donne. Il Sud sconta inoltre anche un ritardo nei servizi, scolastici e sanitari in particolare, e continua a perdere popolazione residente costretta ad emigrare, mentre aumentano le persone beneficiarie di misure di sostegno al reddito.

Basilicata e Veneto le più colpite
L’edizione 2020 del Rapporto Svimez mostra un Paese “unito” per via di una recessione senza precedenti. Gli effetti economici, così come avvenuto per la pandemia, si sono diffusi progressivamente a tutte le regioni italiane, anche quelle che un tempo sarebbero riuscite a resistere.
Il primato negativo del crollo del PIL nell’anno del Covid-19 spetta a una regione del Mezzogiorno e a una del Nord: la Basilicata (-12,9%) e il Veneto (-12,4%). La Lombardia, epicentro della crisi sanitaria, perde 9,4 punti di Pil nel 2020. Segnali che non lasciano dubbi sul fatto che la pandemia “economica” non ha trovato barriere e si è diffusa velocemente da Nord a Sud lungo tutto lo Stivale.
Perdite superiori al 10% si registrano nel 2020 al Nord: Emilia-Romagna (-11,4%), Piemonte (-11,3%) e Friuli V.G. (-10,5); al Centro: Umbria (-11,6%) e Marche (-10,8%). Mentre nel Mezzogiorno: Puglia (-10,8) e Molise (-10,9%).
La Campania perde circa il 9%. Elevate le perdite anche in Calabria (-8,9%). A seguire Sardegna (-7,2%) e Sicilia (-6,9%), economie regionali meno coinvolte negli interscambi commerciali interni ed esteri e perciò più al riparo dalle ricadute economiche della pandemia. 


Ripartenza 2021, al Nord le più reattive
Gli analisti Svimez prevedono che la ripresa sarà più differenziata su base regionale rispetto all’impatto del Covid-19 nel 2020.
I segnali sono già ora evidenti: “Sia pure recuperando solo circa metà delle perdite subite nel 2020 - si legge nel rapporto - le tre regioni settentrionali del triangolo della pandemia sono le più reattive: +5,8% in Emilia-Romagna, +5,3% in Lombardia, +5,0% in Veneto. Segno, questo, che le strutture produttive regionali più mature e integrate nei contesti internazionali riescono a ripartire con meno difficoltà, anche se a ritmi largamente insufficienti a recuperare le perdite del 2020. Piemonte e Liguria, invece, mostrano maggiori difficoltà a ripartire a ritmi paragonabili alle altre regioni del Nord”.
“Tra le regioni meridionali - continuano gli esperti - le più reattive nel 2021 sono, nell’ordine, Basilicata (+2,4%), Abruzzo e Puglia (+1,7%), seguite dalla Campania (+1,6%), confermando la presenza di un sistema produttivo più strutturato e integrato con i mercati esterni”.
A fronte del Sud che riparte, sia pure con una velocità che compensa solo in parte le perdite del 2020, nel 2021 - si legge nel rapporto – “ci sarà anche un Sud dalla ripartenza frenata: Sicilia (+0,7%), Calabria (+0,6%), Sardegna (+0,5%), Molise (+0,3%). Si tratta di segnali preoccupanti di isolamento dalle dinamiche di ripresa esterne ai contesti locali, conseguenza della prevalente dipendenza dalla domanda interna e dai flussi di spesa pubblica”.


Occupazione, al Sud persi 280mila posti
Riguardo ai dati sull’occupazione, il Rapporto Svimez segnala che nei primi 9 mesi del 2020 il lockdown ha incrociato un mercato del lavoro sostanzialmente stagnante da più di un anno”, e stima “una riduzione dell’occupazione del -4,5%, il triplo rispetto al Centro-Nord. E si attende una perdita di circa 280mila posti di lavoro al Sud. La crescita congiunturale dell’occupazione era già modesta, la ricerca di lavoro in diminuzione e l’inattività in aumento.
Il calo della partecipazione al mercato del lavoro causato dalla crisi si vede anche nell’aumento dei NEET, giovani tra 15 e 34 anni non occupati e non in formazione: sono 1 milione e 800mila nel terzo trimestre di quest’anno al Sud, di cui poco più di un milione sono donne”.

La crisi colpisce le fasce più deboli dei lavoratori
Gli andamenti relativi al mercato del lavoro mostrano che il Covid non è stato una ‘livella’, come alcuni avevano ipotizzato all’inizio della pandemia. Anzi, l’esatto contrario: la crisi seguita alla pandemia è stata un acceleratore di quei processi di ingiustizia sociale che ampliano le distanze tra cittadini e territori in atto ormai da molti anni.
La crisi si è scaricata quasi interamente sulle fasce più fragili dei lavoratori. Cassa integrazione e blocco dei licenziamenti, nonostante l’ampliamento a settori e imprese non coperte, hanno costituito un argine allo tsunami della crisi per i lavoratori tutelati, ma hanno inevitabilmente incanalato l’onda nociva dei licenziamenti, dei mancati rinnovi dei contratti a termine, e delle mancate assunzioni verso le componenti più precarie e verso i territori più deboli dove tali tipologie sono più diffuse.
I posti di lavoro persi sono composti per due terzi da contratti a termine (non rinnovati al momento della scadenza e/o non attivati) e per la restante parte da lavoratori autonomi.
Nel rapporto si legge che rispetto alla precedente crisi del 2008, “l’occupazione giovanile è calata di 573mila unità al Sud, a fronte di una crescita di 689mila over50. Nel Centro-Nord gli occupati under 35 si sono ridotti di -1,2 milioni mentre gli over50 sono aumentati di 2,4 milioni”.

L’impatto sul lavoro delle donne
 “Già prima della pandemia – continuano gli esperti Svimez - la situazione di svantaggio dell’occupazione femminile nel nostro Paese era in larga parte prevalente al Sud. Su questa situazione già critica si è abbattuta nella prima parte dell’anno l’emergenza sanitaria che ha cancellato in un trimestre quasi l’80% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 e il 2019 riportando il tasso d’occupazione delle donne a poco più di un punto sopra i livelli del 2008”.
La scarsa partecipazione femminile è dovuta in buona parte all’inadeguatezza delle politiche italiane di welfare e del lavoro: il basso tasso di occupazione femminile è fortemente compromesso dallo scarso sviluppo dei servizi sociali che andrebbero, invece, potenziali per sostenere le donne e le famiglie.

Calano i residenti nel Mezzogiorno
Nel 2019 tutte le regioni italiane hanno registrato un saldo naturale negativo e in netto peggioramento rispetto all’anno precedente. Nel 2018 si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 138mila residenti, di cui 20mila hanno scelto un paese estero come residenza, una quota decisamente più elevata che in passato, come più elevata risulta la quota dei laureati, un terzo del totale.
Quasi i due terzi dei cittadini italiani che nel 2018 ha lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, aveva almeno un titolo di studio di secondo livello: diploma superiore il 38% e laurea il 30%”.
“Nel Mezzogiorno- si legge nel rapporto- il pendolarismo fuori regione è decisamente più intenso che nel resto del Paese, nel 2019 è praticato da circa 240mila persone, il 10,3% del complesso dei pendolari dell’area a fronte del 6,3% nel Centro-Nord. Un quinto dei pendolari meridionali (57mila unità) si muove verso le altre regioni del Sud; i restanti quattro quinti (185 mila pari al 3% degli occupati residenti) si dirigono verso le regioni del Centro-Nord o i paesi esteri”.

La spesa per scuola e bambini
I posti autorizzati per asili nido rispetto alla popolazione sono il 13,5% nel Mezzogiorno e il 32% nel resto del Paese. La spesa pro capite dei Comuni per i servizi socioeducativi per bambini da 0 a 2 anni è pari a 1.468 euro nelle regioni del Centro, a 1.255 euro nel Nord-Est per poi crollare ad appena 277 euro nel Sud. Nel Centro-Nord, nell’anno scolastico 2017-18, è stato garantito il tempo pieno al 46,1% dei bambini, con valori che raggiungono il 50,6% in Piemonte e Lombardia. Nel Mezzogiorno in media solo al 16%, in Sicilia la percentuale scende di diversi punti percentuali, fino a 7,4%.
“Infine- si legge sempre nel rapporto- il Sud presenta tassi di abbandono scolastico più elevati che nel resto d’Italia: nel 2019, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, gli early leaver meridionali erano il 18,2% a fronte del 10,6% delle regioni del Centro-Nord. In cifra fissa si tratta di 290mila giovani. Valori più elevati si registrano nel Mezzogiorno sia per i maschi (21% a fronte del 13,7% del Centro-Nord) sia per le femmine (16,5% a fronte del 9,6% del Centro-Nord)”.


Il Meridione tra emergenza sanitaria e reddito di cittadinanza
 La sanità meridionale era una ‘zona rossa’ già prima dell’arrivo della pandemia, come dimostrano i punti Lea e la spesa pro-capite”. Nel 2018 la distanza tra le regioni del Sud e del Centro-Nord è marcata, oscillando tra valori massimi del Veneto (222 punti) e dell’Emilia-Romagna (221) e i minimi di Campania e Sicilia (entrambe 170 punti) e dell’ultima posizione della Calabria (161 punti).
Se si considerano invece i due strumenti Reddito di Cittadinanza e Reddito di Emergenza insieme, gli esperti Svimez rivelano che l’area dell’assistenza ha raggiunto in questi mesi di crisi una dimensione molto ampia: sono oltre 3 milioni di persone, di cui due terzi al Sud, ad aver percepito il RdC tra aprile 2019 e settembre 2020, cui si aggiungono altre 550 mila persone (350 mila al Sud e 200 mila al Centro-Nord) che hanno percepito il REM.
Nel Mezzogiorno l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie è scesa dal 10,0 del 2018 all’8,6% mentre le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta passano dall’11,4 al 10,1%. In valori assoluti si tratta di circa 116 mila nuclei familiari e 281 mila individui in meno.
“La parziale coincidenza tra beneficiari e nuclei in condizioni di povertà- concludono gli esperti - sembra trovare un’ulteriore conferma il fatto che nel Mezzogiorno i nuclei che ricevono Reddito di Cittadinanza o Pensione di Cittadinanza sono ormai superiori a quelli in povertà assoluta (circa 800mila contro 706mila) mentre i nuclei in povertà assoluta si sono ridotti nel 2019 soltanto di 116mila unità. Scarso se non nullo risulta, in sintesi, l’impatto del Reddito di Cittadinanza sul mercato del lavoro”.