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Un’Italia senza contanti

Abbattere l’uso del cash nelle transazioni retail è uno degli obiettivi della ripartenza italiana. Il governo ha messo in campo misure convincenti ma l’arretratezza dei territori rischia di frenare lo slancio delle riforme

Piano Italia Cashless è l’ultimo tentativo del governo di limitare i pagamenti con i contanti e incentivare quelli con metodi digitali o con carte di pagamento. Negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito a molteplici iniziative in questo senso e i risultati sono stati alterni, in parte deludenti. Ma ora sembra che il piano sia davvero più strutturato, anche perché sono stati introdotti il cosiddetto cashback (e il supercashback) e la lotteria degli scontrini, due incentivi che potenzialmente avranno una grande attrattiva. 

Il Sole 24 Ore scrive che saranno necessarie almeno 50 operazioni a semestre con pagamenti in moneta elettronica per ottenere la restituzione del 10% di quanto speso; ci sarà un limite di valore fissato in almeno 1.500 euro ogni sei mesi e un minimo di transazioni da effettuare (100 l'anno) in formato cashless, così da evitare che con una o poche operazioni più consistenti si possa ottenere il recupero del 10% delle spese. Stessa cosa per il supercashback, che premierà con 3.000 euro i primi 100mila cittadini che effettueranno il maggior numero di transazioni elettroniche in un anno, cosa che dovrebbe spingere tutti a utilizzare la carta anche per piccole transazioni (come il caffè al bar).

Le differenze tra territori

Ma l’Italia è finalmente pronta? Tutti se lo augurano, anche se, come spesso accade, pesano le differenze tra i territori. Un recentissimo studio di Bankitalia ha fatto il punto sulle differenze regionali nelle abitudini di pagamento. Le differenze nell’utilizzo di strumenti di pagamento diversi dai contanti permangono anche tra i Paesi europei e, in Italia, tra il centro nord e le regioni meridionali. Lo studio si concentra sul periodo 2013-2018, quando si è assistito a un diffuso aumento delle transazioni cashless tra le principali economie avanzate, spinte dall’innovazione tecnologica e dal nuovo quadro giuridico a supporto della sicurezza, efficienza e trasparenza nei pagamenti digitali. Dove il contante è meno utilizzato, gli analisti hanno trovato innovazione tecnologica, competenze digitali e alti livelli d’istruzione nella popolazione. Viceversa criminalità ed evasione fiscale sono significativamente correlate all’uso del contante, anche se, precisa la ricerca, le loro correlazioni con l’eterogeneità osservata (tra le province italiane) non sono predominanti. 

Il digital divide italiano

Nel periodo considerato, nell’Area euro, a fronte di una crescita media annua della popolazione dello 0,3% e del 2,9% del Pil pro capite, il numero di transazioni non in contanti è aumentato di circa il 6%. Per quanto riguarda la ripartizione geografica, le economie mature mostrano un numero di transazioni pro capite ben al di sopra della media dell’area (265 nel 2018); tuttavia, i Paesi con un numero inferiore di transazioni hanno mostrato tassi di crescita compresi tra l’8% e il 37% nello stesso periodo. L’Italia ha registrato una crescita dell’8,4%, con 111 transazioni pro capite nel 2018. Il Digital economy and society index (Desi) della Commissione Europea, che monitora la performance digitale dell’Unione, nel 2018 ha mostrato che l’Italia era tra quei Paesi che hanno ottenuto risultati peggiori (24esimo posto su 28), soprattutto per quanto riguarda l’uso regolare di Internet (tre persone su dieci non sono ancora utenti regolari), mentre più della metà della popolazione manca ancora di competenze digitali. Questo comportamento influisce sull’utilizzo dei servizi, compresi i pagamenti.

L’innovazione che manca

Tra il 2013-2018, il numero di transazioni non monetarie è cresciuto in tutte le regioni italiane. Sebbene la crescita sia stata più evidente nel Mezzogiorno (+46% contro il +40% medio), nel 2018, le regioni meridionali hanno continuato a essere caratterizzate dal minor utilizzo di strumenti di pagamento diversi dai contanti. Il numero di pagamenti cashless del Lazio (la regione con il valore di crescita più alto) è stato quattro volte quello della Basilicata (con il valore più basso). In tutte le regioni italiane questo dato è risultato comunque inferiore alla media dell’Area euro, il che implica un diffuso ritardo su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, secondo la ricerca, l’arretratezza dell’Italia (Sud e Isole in particolare) nell’utilizzo di strumenti di pagamento diversi dai contanti è principalmente spiegata dal reddito pro capite e dalla scarsa capacità d’innovazione, mentre la volontà di evadere non è particolarmente rilevante, come ci si potrebbe aspettare.

Il processo di modernizzazione continuerà

D’altra parte, non sembra esserci nemmeno un problema di offerta. Alla fine del 2018 i Pos in Italia erano 3,2 milioni, il numero più alto nell’Ue e circa il doppio di quelli presenti in altri Paesi europei come la Germania, la Francia e la Spagna (1,2, 1,8 e 1,6 milioni, rispettivamente). Più recentemente, concludono gli analisti, l’emergenza sanitaria e le misure per contenere il coranavirus hanno intensificato il ricorso ai pagamenti cashless. La quota di acquisti online tramite carte di pagamento è cresciuta in tutto il Paese; nei negozi fisici cresce quella di transazioni con carte contactless e app mobile e sembra diminuire l’uso del contante. I servizi di pagamento digitale si sono rivelati una risorsa fondamentale sia per le imprese sia per i consumatori, consentendo così la continuità delle attività quotidiane. I provvedimenti del governo agevoleranno questo processo di modernizzazione.