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Un biennio di crisi per l’occupazione

Secondo un’analisi di Unioncamere nei prossimi cinque anni saranno sostituiti 2,5 milioni di lavoratori, ma la crisi rallenta le nuove assunzioni fino al 2021

Il quinquennio iniziato quest’anno si preannuncia come un periodo di possibile svolta nel mondo del lavoro. Le previsioni pubblicate da Unioncamere mettono in evidenza una quota di 2,5 milioni di lavoratori che sarà necessario sostituire per pensionamento o altre cause nei prossimi 5 anni, ma considera anche un incremento di domanda per determinati ambiti professionali oggi in espansione, con il rischio di non trovare però risorse dal profilo adeguato.
Secondo l’ultimo aggiornamento del modello di previsione dei fabbisogni occupazionali sviluppato dal Sistema informativo Excelsior per Unioncamere, tra il 2020 e il 2024 il sistema economico italiano avrà un fabbisogno complessivo compreso tra 1,9 e 2,7 milioni di lavoratori: la forbice è determinata dall’affermarsi di uno o dell’altro dei possibili scenari di andamento economico ipotizzati. I due scenari fanno riferimento alle stime del Pil italiano pubblicate nel DEF 2020, che prevedono uno scenario A “base” e uno B “avverso”: nel caso A, il Pil segnerà nel 2020 un -8% e un recupero di +4,7% nel 2021, nel caso B il 2020 segnerà un -10,6% con un recupero nel 2021 solo del 2,3%. L’esito più rilevante che allontana i due scenari si riscontra nell’incremento dello stock di occupati al 2024 rispetto al dato 2019, che nel caso “base” prevede una crescita complessiva di 179mila unità mentre nel caso “avverso” una perdita di 556mila unità.

Una classe lavoratrice anziana
Nella distinzione tra settori pubblico e privato, quest’ultimo richiederà un fabbisogno tra 1,2 e 2 milioni di unità per lo più in sostituzione di personale uscente piuttosto che per incremento delle esigenze, mentre nel pubblico sarà necessario reclutare 720mila lavoratori: una quota più elevata rispetto alle rilevazioni precedenti, necessaria a far fronte all’uscita di una forza lavoro che già oggi ha un’età media molto elevata.
Su base territoriale la richiesta maggiore proverrà dalle regioni del Nord-ovest (tra 609mila e 844mila unità), seguite da quelle del Nord-est (da 492mila a 665mila unità) a loro volta non molto distanti dalle esigenze che emergeranno nel Sud (tra 500mila e 661mila unità), mentre inferiore sarà il fabbisogno espresso dalle regioni del Centro Italia (tra 361mila e 527mila unità).
Un ulteriore dato significativo riguarda la ripartizione tra lavoratori dipendenti e autonomi, con i primi che, tra gli 1,6 e i 2,1 milioni di unità, peseranno per il 77-80% del fabbisogno totale, e i secondi che andranno quasi solo a compensare il turn-over di uno stock occupazionale in contrazione da qui al 2024.

La diga del settore pubblico argina la crisi
La particolarità della situazione economica sviluppatasi a causa del coronavirus ha suggerito di fornire un quadro dell’occupazione del prossimo quinquennio suddivisa in un primo periodo a ridosso della pandemia e in un triennio 2022-24 in cui si ritiene sarà concretizzato il rimbalzo dell’economia.
Le attese sono per un biennio 2020-2021 in cui l’uscita dal mondo del lavoro per ragioni anagrafiche o altre cause spontanee coinvolgerà oltre 1 milione di persone, e la componente occupazionale determinata dalla sostituzione sarà determinante a portare il segno positivo il fabbisogno: le stime elaborate dal sistema Excelsior di Unioncamere prevedono infatti nel biennio osservato una riduzione dello stock di occupati tra le 277mila e le 805mila unità rispetto al 2019, a seconda dei due scenari prospettati. Per la sua caratteristica di offerta occupazionale rigida, il settore pubblico avrà un’incidenza maggiore rispetto al trend abituale nel mantenere attiva la componente di sostituzione dei lavoratori in uscita, con il 46% del replacement totale: gli ambiti professionali in cui ci sarà richiesta di nuovo personale per coprire il turn-over saranno in particolare la sanità, il settore “formazione e cultura” e gli “altri servizi pubblici e privati”. Netta contrazione invece per la sostituzione nel settore privato, dove i saldi più negativi saranno nei settori del turismo e commercio (da -172mila a -40mila unità) e, con valori molto meno importanti, nel “legno e arredo”, “moda”, “finanza e consulenza”.

Dal 2022 l’occupazione riparte
Dal 2022 dovrebbero materializzarsi gli effetti del rimbalzo economico e per l’occupazione Unioncamere stima un leggero incremento. In totale si stima nel triennio ’22-’24 una crescita dello stock nazionale di occupati di 456mila unità alla fine del 2024 rispetto al 2021. Nel dettaglio, l’aumento riguarderà per lo più i dipendenti privati, con una crescita determinata dall’espansione economica di quasi 355mila occupati (il 77% del totale), mentre per i indipendenti si prevede un incremento di 80mila unità e per il comparto pubblico di 21mila lavoratori.
Se alla crescita dello stock stimato si aggiungono gli 1,4 milioni di unità derivate dal replacement, il fabbisogno occupazionale previsto per il triennio si avvicina a 1,9 milioni. Dopo la stagnazione 2020-21, il rimbalzo porterà beneficio in particolare al settore “commercio e turismo”, con una richiesta complessiva di quasi 425mila unità, e resterà alta la richiesta nei comparti “altri servizi pubblici e privati” e “salute”.
Un’ultima nota riguarda la filiera dell’“informatica e telecomunicazioni”, per la quale la domanda di sostituzione rappresenterà nel triennio meno del 50% del fabbisogno complessivo di personale, indice di un’accelerazione nello sviluppo del settore.