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Crisi, tra ripresa dell’industria e paura per l’occupazione

I dati di maggio dell’Istat parlano di un vigoroso aumento per fatturato, ordinativi ed export. Ma le previsioni del Pil e le prospettive occupazionali preoccupano: aumenteranno le diseguaglianze e il rischio è di perdere oltre due milioni di posti di lavoro è concreto

Nei giorni della grande trattativa in seno al Consiglio Europeo sul Recovery fund, che potrebbe alleviare le sofferenze delle economie europee, le previsioni degli istituti nazionali e internazionali dipingono un quadro fosco per l’Italia. Con le previsioni per il 2020 di una flessione mondiale della crescita pari al 5%; con l’Eurozona che crolla del 9-11% e l’Italia che sprofonda del 14%, l’economia reale appare in ginocchio. La Commissione Europea ha ricordato come lo shock subito dall’economia dell’Ue sia simmetrico perché la pandemia da Covid-19 ha colpito tutti gli Stati membri: ma la ripresa non lo sarà. Bruxelles prevede che tanto il calo della produzione nel 2020 quanto il ritmo della ripresa nel 2021 saranno caratterizzati da notevoli differenze: “entità dell’impatto della pandemia e rapidità del recupero nei diversi Stati membri saranno ancora più pronunciate rispetto a quanto previsto in primavera”, si legge nell’ultimo documento della Commissione che fa il punto sulle conseguenze economico-finanziarie della pandemia. 

Un cauto ottimismo 

E tuttavia, l’Istat ha fornito dati su cui esercitare un cauto ottimismo. L’istituto nazionale di statistica ha parlato di “impatto positivo del progressivo attenuarsi delle misure di lockwdown su fatturato e ordini dell’industria”, che a maggio registrano una robusta crescita congiunturale in tutti i raggruppamenti principali, recuperando quasi interamente la forte flessione di aprile. Il fatturato dell’industria è aumentato del 41,9% e anche gli ordinativi registrano a maggio un balzo congiunturale del 42,2%, che segue la caduta del 31,6% rilevata ad aprile. Questi aumenti caratterizzano entrambi i mercati: Istat ha registrato un +45,7% per il mercato interno e +35,2% quello estero. Gli ordinativi seguono la medesima dinamica, con un più ampio incremento delle commesse provenienti dal mercato interno (+55,9%) rispetto a quelle provenienti dall’estero (+26,2%). Tuttavia, la perdita è ancora molto ampia rispetto all’anno scorso con un calo pari al 25,9% per il fatturato e al 34,7% per i nuovi ordinativi.

Riparte l'export

Uno dei dati più positivi per l’Italia è la ripartenza dell’export. A maggio l’Istat ha stimato un aumento congiunturale che definisce “decisamente elevato” per le esportazioni (+35%), mentre le importazioni sono cresciute del 5,6%. Il netto incremento su base mensile dell’export è dovuto, fa sapere l’istituto, ai forti aumenti delle vendite sia verso i mercati extra Ue (+36,5%) sia verso l’area Ue (+33,7%). Ma i numeri col segno più finiscono qui. Se allarghiamo lo guardo, e c’è poco da sorprendersi, nel trimestre marzo-maggio 2020, malgrado la crescita di maggio, la dinamica è condizionata dai forti cali dei mesi precedenti ed è negativa sia per l’export (-29%) sia per l’import (-27,7%). L’export su base annua segna una flessione del 30,4%, comunque meglio della misurazione fatta ad aprile (-41,5%) segno che qualcosa, in effetti, si sta muovendo. 

Lo spauracchio della disoccupazione

Basterà? Sta bastando? Evidentemente no. Il carico di preoccupazioni arriva soprattutto dal fronte occupazionale. Da quel punto di vista, ci ha pensato l’Employment outlook dell’Ocse a prospettare un futuro più che incerto. Per la prima volta l’Ocse ha prodotto due scenari: uno single hit e uno double hit. Nel primo scenario, in due anni quasi due milioni di posti di lavoro andranno perduti in Italia, nel secondo scenario oltre 2,5 milioni. Alcune posizioni lavorative saranno più esposte e anche questa crisi non farà che aumentare le diseguaglianze: gli effetti peggiori, fa notare l’Ocse, colpiranno i lavoratori atipici e i precari con rischi drammatici. Per i giovani sarà molto pesante, giacché anche coloro i quali hanno un’istruzione elevata, storicamente i meno esposti, avranno meno possibilità, perché la transizione scuola-lavoro sarà più difficile. Cosa può fare l’Italia? In primis basta sussidi: il nostro Paese sarà chiamato ad adattare la cassa integrazione alla fase di ripresa, a riconsiderare il divieto di licenziamento e i limiti all’assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato, a rivedere l’accesso a prestazioni di sostegno al reddito per evitare l’aumento della povertà, a non perdere il contatto con i giovani e ad accompagnare le imprese nella creazione di nuovi posti di lavoro. Solo così, fa sapere il centro studi, si potrà ripartire. A patto di evitare una seconda ondata italiana del virus, i cui effetti sarebbero davvero imprevedibili.