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Covid, attenzione all’evoluzione dell’antibiotico-resistenza

Le iniziative per contenere la pandemia, a partire dalle attività di sanificazione, anche se fondamentali, potrebbero portare ad un pericoloso peggioramento dell’efficacia di questi farmaci nella cura delle infezioni correlate all’assistenza

Ogni anno nel mondo muoiono 700 mila persone per infezioni batteriche che gli antibiotici non riescono più a curare a causa dell’antibiotico-resistenza. In Europa il conteggio pre-covid parla di 33mila morti l’anno. L’Italia è maglia nera, con un bilancio di 10 mila decessi l’anno direttamente collegati alla perdita di efficacia di questi farmaci, con un numero di vittime superiore persino a quello determinato dagli incidenti stradali.

Le manovre effettuate in terapia intensiva per il Covid-19 hanno fatto sì che l’antibiotico-resistenza e le infezioni correlate all’assistenza siano diventate un problema ancora più rilevante nel corso dell’epidemia. Nel nostro Paese, tra le complicanze del Covid-19, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la sovra-infezione è presente nel 12,4% dei pazienti deceduti e la terapia con antibiotici è stata usata nel corso del ricovero nell’84% dei casi.

I rischi dell’abuso di antibiotici
Il problema della perdita di efficacia di antibiotici è direttamente collegato all’eccessivo utilizzo di questi farmaci negli ospedali, tra i medici di base, in ambito zootecnico. Un utilizzo diffuso, che genera batteri resistenti, che poi vengono «trasportati» attraverso l’ambiente, le persone o persino il cibo.
Ridurre l’abuso di antibiotici migliorandone la correttezza d’uso sembra essere una delle poche soluzioni per preservare la loro efficacia e limitare l’emergere di resistenza. Gli antibiotici rappresentano pur sempre un valore da tutelare e una priorità per la salute pubblica, con la conseguente necessità di introdurre farmaci innovativi a essi alternativi e di velocizzare l’approvazione dei nuovi antibiotici per trattare le infezioni resistenti.

L’utilizzo prolungato di disinfettanti danneggia l’ambiente
In questi mesi di grande emergenza il ruolo dell’igiene per la riduzione della trasmissione infettiva non solo in ambito ospedaliero è stato di fondamentale importanza, anche se porta con sé dei rischi per il futuro.
Il protocollo di sanificazione degli ambienti sanitari ha reso obbligatorio l’utilizzo di disinfettanti chimici tradizionali con concentrazioni anche 5 volte superiori a quanto usato normalmente.
“La sanificazione tradizionale basata su sostanze chimiche è di limitata efficacia nel tempo in quanto non riesce a prevenire la ricontaminazione dei patogeni sulle superfici trattate; inoltre l’uso così massiccio di disinfettanti chimici per le sanificazioni, in particolare in questo periodo, può contribuire alla selezione di agenti patogeni resistenti” commenta Filippo Barbieri, responsabile sviluppo ed innovazione di Copma, azienda attiva nel campo nella sanificazione ospedaliera e di grandi comunità.
Un fenomeno da tenere sotto controllo anche dal punto di vista ambientale. Lo sottolinea il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss) Silvio Brusaferro, durante l'audizione in Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti: “Laddove le superfici sono mantenute pulite il virus è facilmente inattivabile, ma dobbiamo stare attenti a non esagerare. Perché i disinfettanti, se usati in modo estensivo e intensivo, possono provocare effetti indesiderati anche sull’ambiente”.

Ricerca e innovazione nel campo della sanificazione ospedaliera
I fattori trainanti della resistenza antimicrobica (Amr) sono multifattoriali e così dovrebbero essere gli interventi, includendo diversi settori come quello della salute umana, animale e ambientale in un approccio one health.
Se ridurre l’abuso di antibiotici laddove non necessari è un fattore acclarato di contrasto all’antibiotico resistenza, anche introdurre pratiche di sanificazione diverse dall’utilizzo di disinfettanti chimici tradizionali quando possibile (ossia nei reparti ospedalieri Non Covid) può contribuire in maniera virtuosa a contenere la resistenza.
La normativa già oggi offre la possibilità di differenziare i trattamenti di sanificazione nei reparti ospedalieri distinguendoli tra Covid e Non Covid. Basterebbe utilizzare nei reparti Non Covid metodi di sanificazione innovativi e di dimostrata efficacia che riducano le Ica senza indurre antibiotico-resistenza.
“Copma ha messo a punto un sistema di sanificazione a base microbica, il Sistema Pchs, capace di ridurre le Ica del 52%, i geni di resistenza fino al 99% e garantire igiene a bassa carica patogena stabile nel tempo”, conclude Filippo Barbieri.