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Anatomia delle bufale

Nel web e sui social girano una quantità di notizie false, spesso intriganti, che accendono la curiosità dei lettori. In questo periodo la pandemia è stata all’origine di molte informazioni fuorvianti che creano confusione in un pubblico sensibile, quando non veri danni. Ci sono però i mezzi per riconoscerle e bloccarle

Non è questione di età, di esperienza o di cultura: tutti possiamo credere a una fake news (o se si preferisce, a una “bufala”). Alcune sono semplici, qualcuna si genera in buona fede, molte sono costruite con un secondo fine. Ma soprattutto le bufale sono subdole, perché per risultare credibili hanno sempre un fondo di verità associato all’informazione fuorviante. Il tema potrebbe essere solo di colore, se non fosse che spesso dietro al lancio di una notizia falsa ci sono interessi particolari e che le conseguenze possono toccare la credibilità di persone e danneggiare la reputazione di imprese. Se ne è parlato nel webinar Virologia delle bufale: i rischi della disinformazione ai tempi del Covid-19, organizzato da Anra, l’associazione italiana dei risk manager, che ha avuto come ospite Claudio Michelizza, admin e fondatore di Bufale.net, il sito di fact-checking che da anni si occupa di verificare le notizie virali diffuse via web e social.
In questo ultimo periodo, la novità e l’incertezza legate al Covid-19 sono state terreno fertile per una grande quantità di notizie false – o parzialmente vere – che diventavano facilmente virali. Un paio di esempi? Il farmaco russo che funziona ma i medici si ostinano a non usarlo, il virus che resiste fino a 9 ore sull’asfalto… Sono notizie fuorvianti rispetto alla realtà, costruite ad arte per attirare interesse, e quindi click sui siti, maggiore visibilità e in molti casi anche denaro.

Attenzione alle fonti credibili
Si tratta di informazioni che vengono inviate facendo leva sulla legittima curiosità del lettore, sul bisogno di conoscere e sulla fiducia verso chi le inoltra: ognuno è più propenso a credere a una notizia se questa è inviata da un conoscente, da una persona competente, e di conseguenza diventa attore della diffusione nella convinzione di agire per il meglio e offrire informazioni utili. Perché non credere alla ricercatrice cinese che afferma la validità di bere acqua calda per difendersi dal coronavirus? La fonte è credibile, peccato che il video in questione sia vecchio di alcuni anni e faccia riferimento a tutt’altra malattia (per la quale rimane in ogni caso da verificare l’efficacia del metodo). Ci hanno creduto in molti, anche associazioni serie che lo hanno postato con l’intento di dare un consiglio utile.
Altre notizie divulgate come vere possono avere un’origine non finalizzata allo scopo per cui vengono diffuse: è il caso ad esempio di audio o video estrapolati dal contesto in cui sono stati generati e per il quale avevano un senso. Un audio registrato per un gruppo di amici o di colleghi si basa su conoscenze e significati condivisi da quel gruppo, fuori del quale possono risultare di tutt’altro tenore. Per fare un esempio, un principio attivo citato in una discussione come ipotesi di possibile interazione con il virus può essere interpretato fuori dal contesto come verità, e generare di conseguenza un’informazione non corretta. In questi giorni, la pressione di dare notizie sugli effetti del Covid-19 ha fatto realizzare video che associavano immagini di queste difficili giornate con altre di eventi passati (ad esempio la fila di bare di vittime di un terremoto): due immagini vere, ma di eventi diversi, che associate hanno creato una notizia falsa.

Qui prodest?
L’obiettivo che sta dietro alle bufale è spesso il guadagno o la visibilità: sui social e su alcuni wall paper i link sono legati a sistemi di remunerazione, per cui chi li posta riceve una cifra per ogni click realizzato sulla notizia o sul video. C’è poi il caso di chi crea una fake news per generare traffico sul proprio sito, quindi dare maggiore pubblico ai propri sponsor. Il vantaggio di comunicare informazioni “originali” può anche avere come risvolto l’acquisizione di credibilità, così una persona può avere interesse a divulgare determinate notizie, magari un po’ “fiorite”, per essere poi riconosciuto come fonte autorevole e guadagnare in visibilità.

Come capire se la notizia è vera
Ognuno può essere in grado di capire se una notizia è vera o falsa. Il primo passo è metterci buon senso, il secondo è “smontarla in pezzi” secondo alcuni fattori che sono comuni a tutte le informazioni: nomi, data, luogo, fatto. Cercare questi dati singolarmente è più semplice, e una volta verificati è più facile capire se sono congruenti, e quindi se l’informazione ha la dignità per essere divulgata. Rispetto alla data, Michelizza fa notare che molto spesso i social non accompagnano l’informazione con la data del fatto, ma solo con quella del post.

I rischi delle fake news
La bufala può essere innocente ma possono invece esserci casi che creano un danno. La prima eventualità riguarda le conseguenze dirette che alcune informazioni possono avere su persone che le leggono e che ci credono: usare l’acqua calda per curare una malattia al posto dei farmaci non è una buona idea… ma qualcuno potrebbe seguirla. C’è poi il rischio di mettere in giro informazioni false che creano discredito verso persone o aziende. Gli esempi prima citati sono chiarificatori per capire come anche solo “viralizzare” una notizia può danneggiare la reputazione di qualcuno. In questi casi l’azienda o la persona interessata potrebbe agire direttamente contro l’autore della bufala, denunciando il caso alla polizia postale. In caso di divulgazione di notizie false, come è stato in alcuni casi relativi al Covid-19, si potrebbe invece configurare il reato di procurato allarme. Nel caso si avesse il sospetto che una notizia in circolazione sia falsa, meglio non viralizzarla e nel caso informare per prima cosa le persone o l’azienda che vengono chiamate in causa.