la-chiave-e-nel-volto

La chiave è nel volto

Si diffonde sempre di più l’utilizzo del riconoscimento facciale in molti ambiti. I principali sono la riservatezza negli accessi e la pubblica sicurezza. Ma l’uso delle mascherine per il Covid19 ne ha dimostrato i limiti

Oggigiorno, si sente parlare ovunque di riconoscimento facciale. Chi per scopi di sicurezza, chi per fini commerciali (ne avevo già scritto alcuni mesi or sono su questa testata https://www.societaerischio.it/1/it/article/778/la-privacy-al-tempo-dei-social-network), si ricorre all’utilizzo di questa tecnica biometrica per identificare in via univoca un soggetto attraverso l’analisi dei lineamenti del suo volto.
L’utilizzo è diffuso in tre macroaree.
Nel settore della pubblica sicurezza, come mezzo per permettere a qualsiasi soggetto di potersi imbarcare su un aereo senza necessità di dover fornire i propri documenti, o per poter identificare autori di reato, come nel caso delle manifestazioni sportive: attraverso videocamere ad altissima risoluzione di ultima generazione, ad esempio, si identificano coloro i quali abbiano condotte violente o discriminatorie prevedendo addirittura la possibilità di contestare i reati in flagranza e processarli con rito direttissimo. Il riconoscimento facciale è utilizzato dalle aziende per gli scopi più disparati: in alcuni casi per la profilazione e fidelizzazione della clientela, in altri, per esempio in Canada, la tecnologia è sfruttata nei casinò per poter individuare tanto i soggetti affetti da ludopatia quanto quelli sospettati di essere dei truffatori ai tavoli da gioco.

Aprire molte porte
Il campo di applicazione più diffuso però è senza dubbio poter sbloccare gli smartphone ed effettuare innumerevoli accessi a servizi e app; basti pensare al sistema di sblocco per le app dell’identità digitale, all’accesso a locali di privata dimora o sedi di aziende, o per entrare sui propri conti correnti e autorizzare i pagamenti contactless effettuati tramite sensore NFC integrato nei dispositivi o sui siti web, evitando di digitare i codici di sicurezza.
I vantaggi sono senza dubbio il poter abbreviare i tempi di tantissime operazioni quotidiane che, presi dalla vita frenetica impostaci, ci fanno apprezzare qualsiasi possibile scorciatoia in quel che facciamo. Non va tralasciato il fatto che, rispetto ad altre tecniche biometriche, come quella attraverso l’impronta digitale, il riconoscimento facciale è di natura “non a contatto”.

I limiti non aggirabili
Non mancano però degli svantaggi nell’utilizzo della tecnica, specialmente qualora manchi una sufficiente illuminazione dell’ambiente o non si riesca a mettere bene a fuoco, soprattutto se parte del volto è coperta.
È qui che emergono le maggiori problematiche. Nella Repubblica Popolare Cinese l’utilizzo del riconoscimento facciale è stato previsto dal Consiglio di Stato in molti campi. Il suo impiego è quotidiano: permette di ordinare pasti veloci, pianificare gli appuntamenti dal medico, imbarcarsi nei principali aeroporti del paese nonché, e soprattutto, consente al governo di sorvegliare su larga scala l’intera popolazione e contribuire ad affinare il Social Credit System che valuta l’affidabilità dei singoli.
Specialmente ora che si è alle prese con il Coronavirus Covid-19, diffuso in maniera preponderante nella Cina centro-orientale, ci si trova davanti ad un fallimento del sistema. Secondo l’Università di Cambridge, da quando le autorità sanitarie hanno obbligato tutta la popolazione ad indossare mascherine facciali, vi è solo il 55 per cento di probabilità che l’algoritmo permetta di identificare correttamente il volto. Alcuni ritengono sia più utile ritornare all’utilizzo sistematico delle impronte digitali altri, come l’artista Danielle Baskin, che basti stampare una mascherina che abbia le fattezze del volto di chi la indossa. La designer è intenzionata a produrre al prezzo di 40 dollari delle maschere respiratorie N95 che permettano il funzionamento di un software di riconoscimento facciale. Goliardia o realtà?