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AI, la corsa delle big tech cinesi

Baidu, Alibaba e Tencent stanno investendo pesantemente nello sviluppo della tecnologia artificiale: l’obiettivo è rendere il Dragone il leader mondiale del settore entro il 2030

La Cina punta a imporsi come leader globale dell’intelligenza artificiale entro il 2030. La strada resta ancora lunga, non foss’altro per la distanza accumulata negli anni rispetto agli Stati Uniti, ma la crescita è evidente. E si muove soprattutto lungo le direttrici disegnate dai colossi tecnologici del Dragone. Anche perché è da loro che partono i principali investimenti in ricerca e sviluppo.
Un’indagine della piattaforma Huxiu, rilanciata dall’autorevole Mit Technology Review, ha messo in fila gli investimenti che Baidu, Alibaba e Tencent (l’equivalente delle statunitensi Google, Amazon e Facebook, conosciute anche con l’acronimo Bat) hanno effettuato nelle società cinesi attive nel settore dell’intelligenza artificiale. Stando ai risultati dell’analisi, le tre big tech hanno investito nel 53% delle 190 principali compagnie del paese: praticamente, più della metà della ricerca in intelligenza artificiale in Cina si muove grazie ai portafogli gonfi di tre aziende. La più attiva è senza dubbio Baidu, con 48 società finanziate, seguita da Tencent (37) e Alibaba (31). Altri mecenati del settore non ci sono, sotto al podio di apre il vuoto: la compagnia più vicina ai tre colossi è Huawei, con finanziamenti ad appena sette società.
Alla concentrazione degli investimenti fa da contraltare una certa promiscuità dei settori di ricerca. I campi più gettonati sono trasporti, uso domestico ed educazione, ma numerosi progetti si contano anche in segmenti come finanza, guida autonoma, big data, marketing, cloud e IoT. L’impegno non si muove soltanto nei tradizionali ambiti di intervento delle tre società (indicizzazione e ricerca per Baidu, e-commerce per Alibaba, social network per Tencent), ma spazia in campi e settori del tutto differenti che mostrano comunque un certo potenziale di crescita.
Resta tuttavia un punto critico: i finanziamenti sono indirizzati soprattutto al segmento delle applicazioni, a quello che potrebbe essere visto come l’ultimo miglio dell’intelligenza artificiale. Si finanza insomma quella che si potrebbe definire l’industria pesante, molto meno le tecnologie che la sostengono dalle fondamenta. Lo sviluppo di algoritmi, così come lo studio di chip in silicone che stanno alla base di innovazioni come la machine vision o il natural-language processing, restano territori sostanzialmente inesplorati. E ciò, secondo la testata del Massachusetts Institute of Technology, potrebbe alla lunga porre un freno alla crescita del Dragone. Già, perché se nel breve termine l’abbondanza di dati e l’assenza di leggi stringenti sulla privacy stanno favorendo lo sviluppo del settore, nel lungo periodo emergerà sempre più chiaramente la necessità di investimenti sulla ricerca di base. Si tratta di un settore in cui la Cina sconta un certo ritardo rispetto agli Stati Uniti. E potrebbe alla fine costituire un “tetto a quanto la Cina potrà continuare a godere dell’AI revolution”.