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Paesi Emergenti, un 2019 pieno di incognite

Dopo un brillante 2017, i Brics hanno iniziato a presentare i primi affanni: colpa dei dazi Usa e della stretta monetaria della Fed. L’analisi del gestore Krishan Selva

Dopo un 2018 piuttosto turbolento, i Paesi emergenti provano a rialzare la testa. Ma sono ancora tante le incognite che gravano sullo scenario internazionale, a partire dalla guerra commerciale tra Usa e Cina innescata dal presidente statunitense, Donald Trump, per passare alle tante incertezze legate all’America Latina, con la drammatica situazione venezuelana, le grandi difficoltà dell’Argentina e l’inesperienza del nuovo controverso presidente del Brasile, Jair Bolsonaro.

La guerra dei dazi


Eppure il 2018 era partito con il vento in poppa per le economie emergenti, iniziato con una solida crescita degli utili, con le stime di consenso per l’Msci Emerging Markets Index in salita al 22,7% a dicembre dal 14,1% di inizio anno. Le azioni cinesi hanno avuto un anno straordinario, guadagnando più del 50%. Questa euforia non è durata e nel 2018 l’indice Msci Emerging ha perso oltre il 25% rispetto al picco di gennaio. Krishan Selva, gestore di portafoglio clienti di Columbia Threadneedle Investments, prova a tracciare un quadro sulle possibili performance di questi Paesi nel 2019. Selva colloca il punto di svolta nella decisione di Trump di imporre dei dazi commerciali sulla Cina. “Inizialmente – spiega – i dazi hanno riguardato solo 50 miliardi di dollari di esportazioni cinesi”, una cifra contenibile pari allo 0,01% del Pil del paese asiatico. Più recentemente, Trump ha innalzato il target a un meno gestibile dazio del 10% su 200 miliardi di dollari di esportazioni, minacciando di aumentare l’aliquota al 25% e di estenderla a tutti i beni provenienti dalla Cina. Il clima d’incertezza si è dunque esteso a tutti i paesi asiatici e ad altri mercati emergenti. “Molte imprese – continua Selva – hanno attinto alle scorte e ridotto la spesa per investimenti, e ciò comprimerà la crescita economica. Le esportazioni cinesi non hanno ancora avvertito il colpo, ma è probabile che diano segnali di debolezza nel primo trimestre del 2019. È interessante notare come le esportazioni cinesi dirette negli Stati Uniti rappresentino meno del 3% del Pil ma il 100% della copertura mediatica”. A ciò si è aggiunto l’inasprimento della liquidità globale nel 2018, che ha contribuito alle crisi valutarie in Argentina e Turchia. La prima ha richiesto un prestito all’Fmi, mentre la seconda è stata oggetto di sanzioni e ha registrato un’ingente fuga di capitali.

Riflettori puntati sulle mosse della Fed

Guardando al 2019, il gestore di Columbia Threadneedle sostiene che i mercati emergenti siano ancora soggetti ai rischi insiti nell’irrigidimento della liquidità finanziaria e nelle guerre commerciali. Tuttavia, ci sono anche dei motivi per nutrire un cauto ottimismo. “Cinque o più rialzi della Fed durante tutto il 2019 – spiega – potrebbero creare qualche problema ai mercati emergenti. Tuttavia, visti i recenti segnali di un rallentamento dell’economia statunitense, è più probabile che i rialzi saranno solo due o tre: un’eventualità già scontata dai mercati finanziari”.
 La guerra commerciale è il rischio maggiore, soprattutto qualora si trasformasse in una guerra fredda capace di modificare il funzionamento dell’economia globale: “in questo caso la volatilità di mercato dovrebbe proseguire. Crediamo – ipotizza Selva – che i primi sei mesi del 2019 abbiano in serbo sia sorprese positive che sfide realistiche prima che Cina e Stati Uniti trovino finalmente un accordo”, accordo su cui, tuttavia, il fondo di investimento non scommette.