superare-la-debolezza-cronica-del-sud

Superare la debolezza cronica del Sud

Il recente rapporto della Banca d’Italia disegna lo scenario sconfortante di una parte del Paese in cui le opportunità di crescita, per imprese e lavoratori, sembrano sempre più distanti. Lotta alla criminalità organizzata, Pnnr e fondi europei rappresenterebbero la chiave di volta per il Mezzogiorno

Il rapporto della Banca d’Italia sul divario fra Sud e Centro Nord del Paese offre una inesorabile fotografia sulla cronica debolezza del sistema produttivo meridionale. Il Sud è destabilizzato, in termini di sviluppo, per via delle evidenti carenze delle infrastrutture e dei servizi pubblici e per il peso della criminalità organizzata. Il rapporto evidenzia come il divario con il Settentrione (e con l’Unione europea), accresciutosi nel Novecento e nel secolo corrente, sia una “questione nazionale” ancor più che una mera “questione meridionale”.

Al Sud l’indice demografico non sale anche perché le regioni non sono in grado di attrarre risorse umane. Si accumulano meno capitali e c’è una “crescente difficoltà nell’impiegare la forza lavoro disponibile”. Aumenta inoltre la distanza fra le aree urbane e le regioni periferiche, con solo le prime più predisposte a sviluppare forti economie di agglomerazione. Il settore privato si presenta gravemente sottodimensionato e poco orientato sui servizi a maggior valor aggiunto, mentre il settore pubblico è troppo espanso, pesando sul Sud più che al Centro Nord.

Non va bene il manifatturiero, contrattosi molto negli ultimi dieci anni. Il report segnala inoltre il “ruolo preponderante di micro imprese e di attività a controllo familiare”, che tuttavia si mostrano poco performanti e restie alle nuove tecnologie digitali. Qualche nota di merito va però segnalata per quanto riguarda le esportazioni, la produzione energetica e il turismo, che insieme offrono dati confortanti. Complessivamente il Sud si esprime con difficoltà anche per via del difficile accesso al credito e la lungaggine delle procedure per il recupero dello stesso. Vi è poi una ridotta capacità contributiva pro capite, a cui si aggiunge una “scarsa capacità” della riscossione dei tributi.

Le opportunità per uscire da questa spirale potranno provenire dal Pnrr e dai fondi strutturali europei: l’urgenza è attrarre investimenti esteri e aumentare la produttività. Ma uno dei nodi principali resta la lotta all’evasione, corruzione e mafie, ovvero il “triangolo dell’illegalità”.
Il rapporto si focalizza sul periodo pre pandemico e offre anche dati sulle conseguenze della crisi finanziaria del 2008 e quella dei debiti sovrani del 2013, estendendosi al secolo presente e al Novecento. Dal rapporto si evince che il Sud è cresciuto in egual misura con il Centro Nord soltanto durante il miracolo economico, per poi esprimere un “rallentamento progressivo” fino ai giorni nostri.

I limiti alla produttività e allo sviluppo

Complessivamente la produttività (per ore lavorate) al Sud, nel 2019, è di circa il 24% inferiore rispetto al Centro Nord, mentre nel settore privato il dato raggiunge il 30%. Nello stesso anno la dimensione media delle imprese del Mezzogiorno è inferiore di circa un terzo sul resto dell’Italia. Al Centro Nord il 30% degli addetti del settore privato non finanziario è impiegato in un’azienda di almeno 200 addetti, al Sud il dato risulta inferiore quasi del 300%.
Male l’export, anche se cresce del 3,1% l’anno. Nel 2018, l’84% delle imprese meridionali aveva come mercato di riferimento solo quello italiano. In sostanza, secondo quanto emerge dal rapporto, il Mezzogiorno partecipa all’export del Made in Italy soltanto nella misura del 10,8%.

Un certo dinamismo economico si nota invece nel settore primario per le regioni Molise, Calabria e Sardegna, che eccellono nella trasformazione dei prodotti agricoli. Bene anche Basilicata, Puglia e Sardegna, per quanto concerne la produzione per l’automotive.

Segnali importanti provengono poi dal settore dell’energia, grazie al ricorso alle rinnovabili: qui la capacità di produzione, fra il 2007 e 2019, è aumentata del 50%, pari al 40% di quella nazionale. Cresce il turismo del 9% ogni anno nel periodo 2010-2019, ma il potenziale della regione non è sfruttato: i turisti al Sud spendono solo il 15% del totale nazionale, nonostante al Sud ci siano il 78% delle coste italiane e più del 50% dei siti archeologici.
A seguito delle recessioni del 2008 e del 2013 il Sud non ha mai recuperato i livelli di occupazione e la qualità del lavoro si è ridotta. Forte il ricorso ai part-time, a contratti a tempo determinato e al lavoro in nero. Nel 2019 le persone occupate al Sud erano il 44,5% della popolazione, mentre al Centro Nord il 66,6%. Al Sud il 36% dei disoccupati erano giovani nella fascia di età 15-34 anni. Nel Mezzogiorno la retribuzione oraria lorda media è inferiore di circa il 16% rispetto al resto d’Italia, nel settore privato la differenza raggiunge il 28%. Per il periodo 2007-2019 l’occupazione generale è diminuita di 1,7 punti nel Mezzogiorno, mentre nel resto del Paese è cresciuta di 1,4 punti percentuali.
Il rapporto rileva come il fenomeno mafioso nelle provincie del Sud, già peraltro esteso al resto del Paese, incida abbassando il tasso di occupazione di 9 punti. La Ricerca stima inoltre che sconfiggere la mafia, permetterebbe nel Mezzogiorno una crescita del Pil di 0,5 punti l’anno.

Pnrr, benefici e prospettive di crescita

Una delle risposte allo squilibrio economico del Sud è senz’altro il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che apporterebbe nelle casse delle regioni meridionali circa 82 miliardi, a cui vanno aggiunti 54 miliardi di fondi di coesione europei programmati fino al 2027, 24 miliardi ancora disponibili dai fondi del programma precedente e 58 miliardi del Fondo per lo sviluppo e la coesione. Il totale arriva a 200 miliardi, pari al 6% del Pil del Mezzogiorno nel 2019. 

Ignazio Visco, governatore della Banca D’Italia nel 2021 sottolineava che “la riduzione dei divari territoriali nello sviluppo economico e sociale, oggi ancora più profondi dopo un decennio di stagnazione, costituisce una priorità cruciale del Piano. I benefici degli investimenti e delle riforme potranno essere particolarmente elevati laddove è minore l’accessibilità alle infrastrutture e sono meno soddisfacenti la qualità dei servizi pubblici e il dinamismo dell’iniziativa privata”.