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Come le sanzioni alla Russia colpiscono l’export digitale italiano

Il divieto di effettuare operazioni commerciali con la Federazione russa come ritorsione per l’invasione dell’Ucraina colpisce il made in Italy anche nella sua quota di vendite online. Le perdite potrebbero arrivare a 800 milioni di euro

Nel corso dei due anni caratterizzati dalla pandemia le imprese italiane hanno potuto mantenere le proprie quote di export anche grazie alle vendite online, ma ora questo canale potrebbe subire un rallentamento sul fronte estero a causa della guerra tra Ucraina e Russia. A risentirne in modo particolare sarebbe il settore del lusso, prima duramente colpito dalle restrizioni dovute alla pandemia e ora dalle sanzioni che chiudono un mercato interessato e proficuo come quello russo. Dopo essersi strutturati con politiche commerciali che includono la vendita online, ora i settori del made in Italy devono ricercare e sviluppare nuovi sbocchi di mercato, che compensino la perdita dei consumatori russi.
In Italia l’e-commerce è in generale un ambito ancora da potenziare: in totale, il canale digitale (diretto o intermediato) è utilizzato per le vendite sui mercati esteri dal 56% delle aziende, ma per il 75% di queste la quota di export via online è inferiore al 20% del totale del proprio fatturato complessivo.
Per le imprese italiane l’export digitale di beni di consumo è quindi un canale in crescita, che ha vissuto una fase di accelerazione negli ultimi due anni: secondo i dati dell’Osservatorio Export Digitale del Politecnico di Milano, dagli 11,8 miliardi di euro di fatturato del 2019 si è passati ai 13,5 nel 2020 e a 15,5 (+15%) lo scorso anno, quota che comunque rimane ancora contenuta rispetto all’export totale (l’export digitale B2C ha avuto nel 2021 un’incidenza del 9% sul totale delle esportazioni, era del 7% nel 2019). Nelle vendite estere online ai privati, i settori più importanti in termini di fatturato sono il fashion (8,6 miliardi, 56% del totale e-commerce B2C), il food & beverage (2,2 miliardi, 14%) e l’arredamento (1,2 miliardi, 7%).

Una perdita fino a 430 milioni di euro
Nel panorama di crescita del canale digitale, le sanzioni erogate alla Russia per l’aggressione portata all’Ucraina si abbattono sull’export italiano proprio nei settori dei beni di consumo più attivi nell’e-commerce.
Secondo quanto riportato dall’Osservatorio, l’interruzione dell’export B2C via e-commerce verso la Russia potrebbe causare una perdita fino a 430 milioni di euro, di cui oltre l’80% riguarderebbe il settore fashion. In ambito B2B la perdita delle vendite online sul mercato russo ammonterebbe invece a 2,1 miliardi di euro sui 146 dell’export online B2B totale (pari al 28,3% delle esportazioni complessive), in questo caso i settori più colpiti sarebbero l’automotive, il tessile-abbigliamento e la meccanica.
Il potenziale del mercato e-commerce russo è interessante per la nostra industria, considerato che i cittadini della Federazione si mostrano particolarmente attivi negli acquisti online di prodotti stranieri: secondo quanto riporta Netcomm, l’incidenza degli acquisti all’estero sul totale dell’e-commerce è del 74%, contro il 26% del mercato interno, pari a 14,8 miliardi di euro sui 20 complessivi. La quota persa dal mercato online italiano potrebbe aumentare a 700-800 milioni di euro, ovvero il 5-6% dell’ammontare totale dell’export italiano via e-commerce. Da considerare anche il ruolo svolto dal turismo nella promozione dei beni italiani, infatti molti russi che si erano avvicinati al made in Italy durante le vacanze nella penisola continuavano poi ad acquistare i prodotti online una volta rientrati nel proprio paese.

Mercati alternativi per il futuro
In prospettiva, il protrarsi della guerra in Ucraina e il raffreddamento nei rapporti economici con la Russia renderà necessario dirottare il mercato estero – anche quello online – verso nuovi paesi. Secondo Netcomm, compensare le perdite attuali sviluppando mercati alternativi potrebbe richiedere almeno un paio di anni. I paesi a cui guardare sono in particolare quelli emergenti, in primo luogo la potenza cinese, che già è avvezza al made in Italy, ma anche Indonesia, Turchia, Iran e Arabia Saudita; la digitalizzazione di molti paesi africani e la crescita di classi abbienti interne rende poi interessante per le imprese italiane indirizzarsi anche verso i consumatori di quel continente.