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L'Italia e la sua decrescita infelice

I dati del secondo trimestre 2020 certificano la crisi nera del Paese, schiacciato dagli effetti della pandemia: gli occupati si riducono di 470mila unità rispetto al primo trimestre e di ben 841mila unità rispetto al secondo trimestre 2019. Recovery Fund, unica speranza

Scende la disoccupazione perché le persone non cercano più lavoro. Man mano che i dati sui primi sei mesi dell’anno si consolidano, la fotografia dell’Italia ai tempi della pandemia è sempre più chiara: dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica fino a quella occupazionale, il Paese sta attraversando la più pesante crisi dal dopoguerra. È un bollettino zeppo di segni meno quello che l’Istat ha recentemente licenziato, certificando tutte le difficoltà italiane. Poco consola il fatto di non essere soli e di condividere con gli altri Paesi europei (e non solo) un destino di decrescita (infelice).

Un popolo di inattivi 

E se è vero che il tasso di disoccupazione all’8,3% nel secondo trimestre è in calo di 0,9 punti percentuali rispetto al primo trimestre 2020 e di ben due punti rispetto al secondo trimestre 2019, è altrettanto vero che il dato è drogato: l’Istat spiega che il calo è legato all’aumento dell’inattività dovuta all’emergenza epidemiologica e al lockdown di marzo e aprile. I disoccupati sono saliti a 2.057.000; gli inattivi tra i 15 e i 64 anni sono aumentati del 5,5% rispetto al primo trimestre e del 10% rispetto allo stesso trimestre 2019, raggiungendo quota 14.183.000. Considerato che non ci sono state nuove assunzioni a tempo determinato di stagionali, l’ammontare di occupati che al momento dell’intervista Istat hanno dichiarano di aver iniziato il lavoro nei primi sei mesi dell’anno è inferiore di oltre 400mila unità rispetto a quello dello stesso periodo del 2019. Il tasso di occupazione giovanile nella fascia 15-34 anni è scesa al 39,1%: per avere un’idea, nel 2008 il dato era oltre il 50%.

Crollano occupati e ore lavorate 

Gli occupati totali si riducono così di 470mila unità rispetto al primo trimestre 2020 e di ben 841 unità rispetto al secondo trimestre 2019. Tra l’altro, è bene ricordarlo, la riduzione è dovuta soprattutto al calo dei lavoratori a termine e dei liberi professionisti, visto il blocco dei licenziamenti imposto dal governo. Rispetto al secondo trimestre 2019, i dipendenti a termine sono diminuiti di 677 mila unità (-21,6%) mentre gli indipendenti hanno perso 219mila unità (-4,1%) a fronte di un -3,6% dell’occupazione complessiva. In Italia lavora meno del 60% delle persone tra i 15 e i 64 anni. Oltre ai lavoratori, si riducono anche le ore di lavoro, del 13,1% rispetto al trimestre precedente e del 20% rispetto allo stesso periodo del 2019. “Tali andamenti – chiosa Istat – risultano coerenti con la fase di eccezionale caduta dell’attività economica, con una flessione del Pil nell’ultimo trimestre pari al 12,8% in termini congiunturali”.

Recovery Fund, pensaci tu

Le speranze di recupero sono affidate al Recovery Fund europeo, le cui regole del gioco sono state pubblicate la scorsa settimana dalla Commissione Europea. Ci sono da distribuire 750 miliardi di euro, di cui 209 solo per l’Italia. Secondo i dati della Commissione, il piano vale il 2% del Pil e almeno due milioni di posti di lavoro. Con quei soldi l’Italia potrà anche attuare quel rimodellamento fiscale (taglio delle tasse) che il governo va promettendo da settimane. Potrà farlo perché nello schema pubblicato dall’Ue c’è anche la raccomandazione all’Italia di una riforma del fisco che semplifichi e alleggerisca le tasse sul lavoro, spostandole sulla proprietà. Ma attenzione al deficit: il Recovery Fund non è l’occasione per tappare buchi di un bilancio troppo lasco. La Commissione non rinuncia al rigore, anche se l’austerity sembra archiviata (per ora). Infine, l’Unione Europea rilancia il suo piano per la sostenibilità e la digitalizzazione, proponendo ai governi di portare dal 40% al 55% il taglio delle emissioni da raggiungere entro il 2030, unico modo per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050.