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Senza negozi al dettaglio aumenta il disagio sociale

Uno studio di Confcommercio rileva che i cittadini delle comunità sono sensibili alla qualità della vita anche al di là della specifica propria e singola condizione economica

C’è correlazione tra disagio sociale e la potenziale desertificazione dei negozi nei centri storici delle città italiane? E se sì, è possibile misurarlo? Uno studio di Confcommercio ha provato a dare risposte a queste domande in modo scientifico e con qualche evidenza empirica. Nell’analisi si distinguono due aree: il centro storico e la periferia, considerata però semplicemente in opposizione geografica al centro. Sotto la lente dei ricercatori sono finiti i capoluoghi di provincia e le principali città di media grandezza, escludendo però Milano, Roma e Napoli, sia a causa della loro estensione, sia perché rappresentanti della tendenza delle metropoli a essere policentriche e non avere semplicemente un centro storico contornato dalla periferia. 

Le reazioni al ciclo economico 

Una delle variabili determinanti sono i canoni totali reali, cioè l’ammontare del canone medio annuo (euro per metro quadro) pagato dagli esercizi commerciali rapportato all’indice dei prezzi al consumo su 95 capoluoghi di provincia per il periodo 2009-2019. La dinamica degli esercizi commerciali, ha rilevato Confcommercio, reagisce asimmetricamente alle diverse fasi del ciclo economico: cioè si comporta in maniera differente durante le fasi espansive e quelle recessive. Per evidenziare questo fenomeno sono state costruite le due variabili, consumi reali positivi e consumi reali negativi, oltre che considerate le variabili popolazione ed età media, introdotte per tener conto degli aspetti demografici che possono influenzare la decisione di aprire o mantenere aperto un esercizio commerciale. 

Il costo degli affitti non è rilevante 

Le stime ottenute indicano che l’effetto della variabile canoni totali reali non è determinante nello spiegare la riduzione del numero degli esercizi commerciali nel complesso. Anzi, continua Confcommercio, il parametro è positivo e statisticamente significativo: questo significa che la presenza dei negozi cresce dove la dinamica economica è vitale, cioè dove i valori immobiliari sono alti e quindi i relativi affitti. L’impatto dei consumi è risultato positivo ma non statisticamente significativo durante le fasi di espansione, mentre è stato negativo e statisticamente significativo durante le fasi di recessione. “Questo risultato – si legge nella ricerca – suggerisce che durante le fasi di espansione i consumi non hanno nessun impatto sulla crescita degli esercizi commerciali, quindi le aziende soddisfano la maggiore domanda potenziando la propria attività. Al contrario, nei periodi di recessione una diminuzione dei consumi ha un impatto negativo sulla dinamica del totale degli esercizi commerciali poiché la riduzione della domanda porta i costi medi sopra il livello del ricavo medio, determinando la scelta di chiudere l’attività”. È altrettanto interessante notare che la variabile dei canoni di locazione è statisticamente non significativa nella scelta tra aprire o mantenere aperto un negozio nel centro storico o in periferia. Tuttavia, le stime effettuate sul campione evidenziano anche che quando ci sono incrementi dei consumi reali pro capite nella provincia in cui si situa il comune, le scelte insediative dei negozi privilegiano i centri storici invece delle periferie. 

L’esempio francese… 

Per quanto riguarda invece la connessione con il disagio sociale, uno studio importante pubblicato in Francia mostra che al di là di specifiche cattive performance economiche, il disagio è ben correlato alla chiusura dei negozi e di altre strutture di pubblica utilità. Nel paper sono misurate diverse variabili: la presenza o meno di proteste dei Gilet gialli; il tasso di astensione alle elezioni, e l’autodichiarazione personale di disagio prevista dai territori francesi. C’è, in questo caso, fa notare Confcommercio, una “convincente evidenza empirica che, al di là della dimensione strettamente economica (per esempio la disoccupazione involontaria), il contesto che caratterizza la vita delle comunità locali nelle città e nei territori conta nello spiegare i tre fenomeni sopra menzionati. La chiusura dei negozi locali è sempre molto rilevante sotto il profilo dell’intensità della relazione e della sua significatività statistica”.

...e quello italiano 

Sulla scorta dell’esempio francese, anche in Italia, sottolinea Confcommercio, la variazione nel numero dei negozi presenti sul territorio è esplicativa del disagio sociale. Non che quella economica non lo sia, ma non è statisticamente rilevante: maggiore è la disoccupazione nei periodi elettorali considerati (elezioni europee del 2014 e del 2019) più intensa è la riduzione della partecipazione. Ma appunto, secondo l’associazione, la variazione del valore non ha rilevanza statistica, al contrario della variazione percentuale del numero dei negozi del commercio al dettaglio (anche le farmacie, per fare un esempio di pubblica utilità): “la desertificazione aumenta l’astensionismo, l’eventuale ripopolamento delle medie città in termini di distribuzione commerciale la riduce”. Questo è il risultato suggerito da Confcommercio, il cui senso ultimo è chiaro: “i cittadini delle comunità locali sono sensibili alla qualità della vita che si svolge nel contesto cittadino, anche al di là della specifica propria e singola condizione economica”, conclude lo studio.