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Si consolida la previdenza complementare

Meno investitori, più patrimonio. Bene i flussi, male i rendimenti in un anno difficile per i mercati finanziari. Cresce poi l’interesse per tematiche esg, mentre resta minoritario il contributo del settore all’economia reale. Questi i principali punti dell’ultimo rapporto di Itinerari Previdenziali

Il mercato della previdenza complementare in Italia è in piena fase di consolidamento. Lo si capisce sfogliando le pagine del rapporto Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2018, pubblicazione annuale curata dal centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali che è stata presentata lo scorso 3 settembre a Milano. Giunto alla sua sesta edizione, il rapporto mira a fornire, come ogni anno, un’analisi quantitativa degli investitori istituzionali che operano nel mercato italiano della previdenza complementare.
Il primo dato riguarda il patrimonio: seguendo un trend che prosegue ormai da 12 anni, le risorse complessive del settore crescono. Nel 2018 i fondi previdenziali potevano vantare un patrimonio di 167,06 miliardi di euro, quasi triplicando i 57,58 miliardi di euro del 2017. Tenendo conto anche delle masse gestite da casse professionali, fondazioni bancarie e istituti di assistenza sanitaria integrativa, nonché le riserve delle compagnie assicurative, si arriva a 861,6 miliardi di euro, pari al 49,12% del Pil e più del doppio dei 404,1 miliardi del 2007. Numeri che consentono all’Italia di imporsi al 15° dei mercati della previdenza complementare più sviluppati fra i paesi industrializzati. Il tutto in un momento di contestuale razionalizzazione ed efficientamento del mercato: proseguendo lungo un trend che, anche in questo caso, dura ormai da diversi anni, nel 2018 il numero di operatori del settore si è contratto, passando dagli 833 del 2017 agli attuali 825.

Crescono i flussi, arretrano i rendimenti
Alla base del risultato c’è una costante crescita dei flussi che trova conferma anche nel 2018. Lo scorso anno, infatti, gli investitori istituzionali hanno raccolto nuove risorse per 5,98 miliardi di euro, registrando un rialzo del 2,52% su base annua. Considerando anche il contributo del cosiddetto welfare privato, si arriva a 31,19 miliardi di euro e a una crescita del 3,76% rispetto al 2017. Bene anche gli iscritti: seppur con qualche duplicazione, le adesioni si attestano a quota 8,5 milioni, segnando un rialzo di 400mila unità (+5%) su base annua.
Qualche ombra invece sui rendimenti, in un anno difficile per i mercati finanziari. Nessuno è riuscito a mantenersi in territorio positivo né, tantomeno, a battere i cosiddetti rendimenti obiettivo (media quinquennale del Pil, rivalutazione del Tfr, inflazione). Si salvano soltanto le fondazioni bancarie e le gestioni separate, in grado di mettere a segno rispettivamente nel 2018 performance del 2,7% e 1,7%. Resta tuttavia il fatto che, per un investimento di lungo periodo com’è appunto la previdenza complementare, guardare al singolo anno può rivelarsi miope e controproducente: ampliando l’orizzonte di osservazione, i rendimenti medi si rivelano superiori stabilmente ai benchmark di riferimento.

Aumenta l’attenzione alla sostenibilità
Novità di quest’anno è l’introduzione di un’indagine sulle strategie di sostenibilità e sull’integrazione delle tematiche esg (environmental, social, governance) all’interno dei portafogli degli investitori. I numeri della ricerca sembrano andare in un’unica direzione, quasi scontata in un’epoca sempre più attenta alla sostenibilità: il rendimento, per gli investitori istituzionali, non è tutto. Oltre la metà degli investitori ha infatti affermato di adottare già politiche di investimento sostenibile, mentre l’80% della platea intende includere o incrementare in futuro strategie che tengano conto dei fattori esg.
Minoritario resta invece il contributo del mercato all’economia reale: eccezion fatta per le fondazioni bancarie, il resto del settore garantisce un apporto ancora modesto al tessuto produttivo italiano. Spicca in particolare il contributo, davvero minimo, offerto da fondi pre-esistenti e fondi negoziali, che si limitano a investire rispettivamente il 3,2% e il 3% del proprio patrimonio in economia reale.