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Amazon, arrivano i robot (piano piano)

Il colosso statunitense ha annunciato l’ingresso di nuovi dispositivi tecnologici per la gestione degli imballaggi: riusciranno a fare cinque volte più velocemente quello che adesso fanno 24 persone. La notizia ha rianimato il dibattito sui ritmi di lavoro e, soprattutto, sugli effetti della quarta rivoluzione industriale

Amazon ha recentemente annunciato che introdurrà nei propri magazzini nuovi dispositivi tecnologici per la gestione degli imballaggi. La notizia è stata data da Dave Clark, vice presidente delle operazioni globali del colosso statunitense, in un tweet che confermava di fatto un’indiscrezione uscita sulla Reuters. I dispositivi, di fatto dei robot, saranno inseriti nel reparto della logistica al fine di “rendere gli imballaggi meno ingombranti e ridurre così lo spreco di cartone”, ha affermato Clark. Per poi aggiungere: “La nostra prima preoccupazione è trovare abbastanza personale per soddisfare le nostre esigenze attuali e future”.
La precisazione non è casuale: l’annuncio di Amazon segna infatti un ulteriore passo nella quarta rivoluzione industriale. E pone seri timori sulla perdita di posti di lavoro che una piena automazione potrà generare nel prossimo futuro. Timori che la precisazione di Clark non sembra aver minimamente scalfito.
Stando all’indiscrezione della Reuters, il piano di Amazon prevede di installare in ogni magazzino due linee di robot, in grado di fare cinque volte più rapidamente (e meglio) quello che oggi fanno 24 persone: considerando che nei soli Stati Uniti ci sono 55 strutture, il numero dei possibili esuberi supera già quota 1.300. I timori, dunque, non mancano. E trovano ulteriore fondamento in un programma di esodo incentivato che Amazon avrebbe messo in piedi per i suoi addetti al settore della logistica: 10mila dollari per avviare un’attività in proprio nell’ambito delle consegne. La società di Jeff Bezos avrebbe inoltre già previsto un piano di recupero in due anni dei costi dati dall’acquisto dei robot, pari a circa un milione di euro a dispositivo, e altre spese operative.

Tecnologia per ritmi di lavoro frenetici
L’automazione appare come il naturale sbocco della corsa all’efficientamento che Amazon persegue da anni. Nel 2014, secondo un rapporto di ParcelHero, la società avrebbe spedito mediamente 13,6 milioni di pacchi al giorno. Più recentemente, nel 2017, la stessa Amazon, solitamente restia a diffondere i numeri del proprio business, ha reso noto di aver effettuato a livello globale ben cinque miliardi di spedizioni con il solo servizio di Amazon Prime, quello a consegna rapida in uno o due giorni. Numeri del genere fanno ben capire quanto la produttività abbia un peso fondamentale nel business della società. E quanto i lavoratori possano essere soggetti a ritmi frenetici di lavoro, soprattutto in momenti di grande attività come in occasione del Black Friday. Negli ultimi anni si era persino arrivati a coniare l’espressione passo Amazon per indicare i turni di lavoro sempre più frenetici a cui sarebbero sottoposti i dipendenti della società. Negli Stati Uniti è addirittura previsto un sistema di tracciamento che monitora l’attività dei lavoratori e stabilisce chi licenziare sulla base del livello di produttività raggiunto. Nel mirino finirebbe soprattutto il time off task, tempo di sospensione del proprio compito (la cosiddetta pausa): come ha reso noto il sito The Verge pubblicando la lettera scritta da un avvocato di Amazon, un’interruzione ingiustificata di più di due ore può portare anche al licenziamento. Difficile che problemi di questo genere possano verificarsi con un robot.

La collaborazione tra uomo e macchina
Eppure, nonostante le preoccupazioni, la strada verso la piena automazione resta ancora lunga. La Reuters afferma infatti che le macchine, prodotte dall’azienda italiana Cmc, necessitano ancora di almeno tre operatori: uno per caricare gli ordini dei clienti, un altro per inserire cartone e colla, e un terzo per intervenire in caso di guasti. Il risultato, almeno per il momento, è un magazzino ibrido in cui essere umani e robot collaborano per migliorare la produttività aziendale. Ed è sulla stessa logica che Amazon si starebbe muovendo per migliorare e sviluppare i software di intelligenza artificiale inseriti all’interno degli altoparlanti Echo Dot. Uno scoop di Bloomberg ha recente reso noto che centinaia di dipendenti della società ascoltano le domande che gli utenti fanno ad Alexa, l’assistente virtuale usato all’interno dei dispositivi. L’obiettivo è verificare che il software risponda correttamente alle domande degli utenti, annotando le parole che Alexa non riesce a comprendere perché espresse in un accento particolare. La dinamica rientra pienamente in quello che alcuni ricercati dell’università di Harvard hanno definito “il paradosso dell’ultimo miglio dell’automazione”: lavori temporanei, spesso poco qualificati, creati soltanto per sviluppare un software che, una volta perfezionato, sarà in grado di sostituire il lavoro degli esseri umani.