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La responsabilità dell’avvocato verso il cliente

Una recente decisione della Corte di Cassazione in materia offre l’occasione per ripercorrere gli ambiti per i quali i legali possono essere chiamati a rispondere

Con il conferimento del mandato, l’avvocato assume nei confronti dei propri clienti l’obbligo di eseguire una particolare prestazione, di natura tecnica e discrezionale, a fronte del pagamento di un compenso.
L’obbligazione che l’avvocato assume nei confronti del proprio cliente nel momento in cui assume la difesa in giudizio non è relativa al conseguimento di un risultato desiderato dal cliente, quale ad esempio l’esito vittorioso del giudizio, ma attiene all’impegno tecnico che l’avvocato è tenuto a prestare in modo che il cliente possa raggiungere il risultato auspicato. Si parla, quindi, di obbligazioni di mezzi e non di risultato.
Inoltre, in forza del rapporto di mandato tra il professionista ed il cliente sorgono ulteriori obblighi per l’avvocato, sia civilistici sia deontologici, quali gli obblighi di informazione, di consiglio ed anche di dissuasione del cliente.
In virtù di tali obbligazioni, l’avvocato ha l’onere di informare il proprio cliente in merito alle caratteristiche e all’importanza della lite per cui accetta il mandato, sulle possibili soluzioni della medesima, sulle previsioni di massima inerenti la possibile durata e gli oneri, nonché sul costo della prestazione. La giurisprudenza ha anche chiarito che l’avvocato è tenuto a dissuadere il cliente dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.
In assenza di una apposita richiesta, tuttavia, il difensore non ha l’obbligo di comunicare il possibile esito della lite, aspetto che, come vedremo, è stato determinante per la risoluzione del caso sopra rappresentato.
L’avvocato deve svolgere la propria attività in applicazione della regola della diligenza professionale sancita dall’articolo 1176, comma II, C.C.. Secondo tale norma la diligenza del difensore deve essere commisurata alla natura dell’attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di media preparazione professionale.
La responsabilità dell’avvocato, pertanto, può trovare fondamento anche solo per una mera negligenza del professionista, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto comporti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell'art. 2236 C.C., solo nel caso di dolo o colpa grave.
Ne consegue che l’avvocato dovrà essere considerato responsabile nei confronti del cliente per il caso di incuria o ignoranza di disposizioni di legge ed in genere nei casi in cui per negligenza o imperizia comprometta il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili deve ritenersi esclusa la responsabilità dell’avvocato nei confronti del cliente, a meno di dolo o colpa grave.
Da ultimo, sul tema del riparto dell’onere della prova, la giurisprudenza ritiene che sia onere del cliente provare i seguenti elementi: (i) l’inadeguatezza della prestazione ricevuta da parte del professionista; (ii) l’esistenza del danno e (iii) il rapporto di causalità tra la prestazione e il danno.
La prova del rapporto di causalità difficilmente può essere fornita con il requisito della certezza, attesi i diversi elementi che possono incidere sul risultato di un procedimento giudiziario, sicché la giurisprudenza più recente ritiene che per dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra la condotta dell’avvocato e l’esito del giudizio sia sufficiente una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell’azione giudiziale connesso ad una diversa attività del professionista.

La recente pronuncia della Cassazione in tema di responsabilità dell’avvocato delle “cause perse ab initio
La Corte di Cassazione (sentenza n. 30169 del 22 novembre 2018) si è recentemente pronunciata in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, in relazione ad una fattispecie in cui un cliente si era rivolto al proprio legale per promuovere opposizione avverso un decreto ingiuntivo ricevuto per il mancato pagamento di una fornitura di beni. In particolare, l’avvocato aveva inizialmente sconsigliato al cliente di opporre il decreto, ma in seguito aveva accettato l’incarico in considerazione della impossibilità del cliente di onorare il debito nell’immediato, adoperandosi successivamente nel corso della lite per addivenire ad una transazione, la quale tuttavia non venne accettata dallo stesso cliente.
All’esito del giudizio, l’opposizione è stata dichiarata improcedibile, con conferma del decreto ingiuntivo opposto, in quanto l’avvocato aveva iscritto la causa a ruolo oltre il termine normativamente previsto.
In ragione di quanto sopra, il cliente ha agito nei confronti dell’avvocato per farne dichiarare la responsabilità professionale sia in ragione della gravità dell’errore commesso, sia perché l’avvocato non avrebbe adeguatamente rappresentato al cliente, al momento del conferimento dell’incarico, che l’opposizione appariva ex ante manifestamente infondata.
Nonostante l’evidente inadempimento del professionista, la Cassazione, confermando la sentenza appellata, ha accertato la carenza di responsabilità dell’avvocato nel caso di specie basando la propria decisione sui seguenti argomenti.
In primo luogo, quanto all’inadempimento derivante dalla tardiva iscrizione a ruolo dell’opposizione, la Corte ha ritenuto che non fosse stato sufficientemente provato dal cliente che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avesse una probabilità di essere accolto e che, pertanto, la causa rientrasse nel novero delle “cause perse ab initio” e, come tale, dal sicuro esito sfavorevole.
Con riferimento a tali cause, la Cassazione ha chiarito che la responsabilità del difensore si configura soltanto qualora sia dimostrata l’assoluta inerzia del difensore, a prescindere da ogni valutazione prognostica sull’esito della lite, per aver comunque esposto il cliente ad un incremento del pregiudizio iniziale, quanto meno per gli importi delle spese processuali che il cliente deve sopportare.
Nel caso di specie, invece, la Corte ha riconosciuto che l’avvocato aveva sviluppato una strategia processuale di vantaggio per il cliente, mediante l’opposizione a decreto ingiuntivo ed il tentativo di trovare un accordo con la controparte. Pertanto, ad avviso della Corte non è corretto ritenere il difensore responsabile nei confronti del cliente, in quanto l’errore sull’iscrizione a ruolo non avrebbe comportato un peggioramento della situazione del cliente, atteso anche il sicuro esito sfavorevole del giudizio.
Tuttavia, va ricordato che la Cassazione ha anche accertato che l’evidente inadempimento del mandato da parte dell’avvocato comporta che allo stesso non debba essere riconosciuto alcun compenso, trattandosi di attività professionale “inutiliter data”.
In secondo luogo, quanto al dovere di informazione preventiva in carico al difensore nel momento in cui accetta un mandato, la decisione della Corte ha chiarito che non è ravvisabile alcun obbligo per l’avvocato di pronosticare l’esito della lite, se non espressamente richiesto, e che il difensore è onerato unicamente di informare chiaramente la parte assistita, al momento dell’assunzione dell’incarico, delle caratteristiche e dell’importanza del giudizio e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione, oltre che i possibili costi e durata del processo.