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L’Italia come preda: metà delle aziende quotate è in mano straniera

I dati pubblicati da un recente studio di Unimpresa parlano chiaro: gli azionisti internazionali sono titolari di oltre il 50% delle spa quotate

Versace nelle mani di Micheal Kors. Ansaldo Sts da tempo sotto il controllo dei giapponesi. E se Pirelli già studia la lingua dei nuovi proprietari cinesi, tra pochissimo anche in Luxottica forse si parlerà più francese che italiano. Sono solo alcuni esempi di aziende italiane passate sotto il controllo, totale o parziale, di proprietari stranieri. Un segno di declino della forza imprenditoriale made in Italy, o il segnale evidente del grande appeal delle aziende nostro Paese? Probabilmente entrambe le cose. Sta di fatto che l’avanzata degli investitori esteri in Italia non si ferma. Più della metà delle aziende quotate stabilmente a Piazza Affari è in mano agli stranieri. Il quadro è stato fotografato nei dettagli da un rapporto del centro studi di Unimpresa che mostra come, sebbene complessivamente il sistema imprenditoriale del nostro Paese sia a trazione familiare, in Borsa non comandino gli italiani. Se poco meno del 40% delle quote delle società per azioni italiane è posseduto da famiglie, sui listini di Piazza Affari dominano gli azionisti internazionali titolari di oltre il 50% delle Spa quotate. In mano alle banche è l’8% delle società per azioni, quota che si avvicina al 10% se si limita l’analisi alle sole aziende quotate. Allo Stato va invece il 4,68% delle imprese e il 3,58% delle quotate. Secondo Giovanni Ferrara, presidente di Unimpresa, questa dinamica mostra uno degli effetti della crisi. “L’impoverimento dei nostri capitali – spiega – ha favorito l’acquisto delle aziende da parte di colossi esteri. L’ingresso degli stranieri nel mercato finanziario italiano, che nonostante tutto ha valori importanti e in crescita, non è necessariamente un fattore negativo. Dipende, però, dalle intenzioni: se si tratta - osserva Ferrara - di investimenti di lungo periodo va bene, mentre se le operazioni sono dettate dalla speculazione, allora c’è da preoccuparsi”

Porte spalancate agli investitori esteri

Lo studio dell’associazione è basato su dati della Banca d’Italia aggiornati al primo semestre 2018, e incrocia i dati relativi al valore di bilancio delle azioni (quotate e non) detenute da tutti i soggetti economici che operano nel nostro Paese: imprese, banche, assicurazioni e fondi pensione, Stato centrale, enti locali, enti di previdenza, famiglie, investitori stranieri. Nel primo semestre 2018 le società per azioni hanno aumentato di 15 miliardi di euro il loro valore, mentre quelle quotate in Borsa hanno visto crescere di 6,3 miliardi la loro capitalizzazione. Secondo l’analisi, per quanto riguarda l’intero universo delle società per azioni del nostro Paese, la fetta maggiore è in mano alle famiglie: in calo al 39,76% rispetto al 42,80% del 2017. Nella speciale classifica, seguono gli stranieri col 24,85% (era il 25,23%), le imprese col 18,19% (era il 15,35%), le banche con l’8,42% (era l’8,10%) e lo Stato col 4,68% (era al 4,70%), le assicurazioni e i fondi pensione col 2,72% (era il 2,73%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (stabili attorno allo 0,60%) e agli enti di previdenza (dallo 0,50% allo 0,78%).

Un valore in crescita

Complessivamente, il valore delle società per azioni è cresciuto, dal primo semestre del 2017 al primo semestre del 2018, dello 0,69%, con un incremento di 15,1 miliardi, salendo dai 2.210,1 miliardi dello scorso anno ai 2.225,3 miliardi di quest’anno. Bilancio negativo per le famiglie, che hanno perso valore per 61,04 miliardi (-6,45%) da 945,8 miliardi a 884,7 miliardi, e per gli enti locali, che hanno visto calare il loro portafoglio di partecipazioni di 101 milioni (-0,76%) da 13,2 miliardi a 13,1 miliardi. Saldo in deficit (-4,4 miliardi con un calo dello 0,80%) anche per gli investitori esteri: avevano quote azionarie che valevano nel 2017 557,5 miliardi e ora valgono 553,07 miliardi. Sorridono, invece, tutte le altre categorie di azionisti: le banche, che hanno visto aumentare il valore delle loro partecipazioni di 8,4 miliardi (+4,69%) da 179,02 miliardi a 187,4 miliardi; le assicurazioni e i fondi pensione che registrano “plusvalenze” per 221 milioni (+0,37%) da 60,3 miliardi a 60,5 miliardi. Variazione positiva anche per le quote delle imprese, che hanno 65,7 miliardi in più (+19,38%) da 339,1 miliardi a 404,8 miliardi, e per quelle degli enti di previdenza, cresciute di 6,3 miliardi (+56,80%) da 11,1 miliardi a 17,4 miliardi. Per quanto riguarda le società per azioni presenti a Piazza Affari, il valore complessivo è cresciuto di 6,3 miliardi (+2,40%), dai 519,9 miliardi del 2017 ai 540,6 miliardi del 2018. Il primato nell’azionariato spetta agli investitori esteri detentori del 50,56% delle quote, in leggero calo rispetto al 51,34% del 2017. Nella speciale classifica, seguono le imprese col 24,96% (era il 23,57%), le famiglie col 9,58% (era il 10,36%), le banche col 9,86% (era il 9,62%), lo Stato col 3,58% (era il 3,70%), le assicurazioni e i fondi pensione con lo 0,74% (era lo 0,69%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (dallo 0,60% allo 0,61%) e agli enti di previdenza (dallo 0,11% allo 0,10%).

E gli azionisti esteri brindano

Gli azionisti esteri hanno guadagnato 6,3 miliardi (+2,40%) da 266,9 miliardi a 273,3 miliardi, le imprese hanno 12,4 miliardi in più (+10,14%) da 122,5 miliardi a 134,9 miliardi, mentre le famiglie hanno perso 2,09 miliardi (-3,88%) da 53,8 miliardi a 51,7 miliardi. Bilancio positivo, poi, per le banche con un aumento delle quote di spa quotate pari a 3,3 miliardi (+6,60%) da 50,03 miliardi a 53,3 miliardi; su le quote di assicurazioni e fondi pensione di 416 milioni (+11,53%) da 3,6 miliardi a 4,02 miliardi. Le quote in mano allo Stato centrale sono aumentate di 121 milioni (+0,63%); variazione positiva per quelle delle amministrazioni locali, salite di 155 milioni (+4,97%) da 3,1 miliardi a 3,2 miliardi; negativo il saldo per le quote degli enti di previdenza, calate di 52 milioni (-8,80%) da 591 milioni a 539 milioni.